martedì 11 luglio 2017

Dodicesima tappa. Il Bashkortostan. Da Naberezhnye Chelny a Verkhneyarkeyevo.






La Baschiria, o Bashkortostan, si è ben fatta desiderare. Mannaggia a lei!
Ci sono arrivata dopo 140km faticosi, infiniti, e su una zampa sola.
Eh sì. Dopo l’eccessivo sforzo storto dovuto al fortissimo vento laterale, cui si sono aggiunte le manate d’aria dei camion (oggi la strada era stretta, con solo una corsia per senso di marcia e senza bordo pedalabile), mi son fatta gli ultimi 30km a pigiare i pedali con la sola gamba sinistra, in piano e in discesa. Le salite a piedi, spingendo pian piano la Signora dal culo pesante: con il ginocchio destro fuori uso non ci sono state alternative. Ora la busta di Brufen sta lavorando e per domani dovrei essere di nuovo in piena forma.
Delle tre variabili (strada, vento, pioggia) oggi l’unica positiva, esclusa una mezzoretta di temporale (su 8 ore di tappa) è stato il meteo: sole, sole vero, sole caldo sulla pelle come da giorni non sentivo.
Questa mattina, dopo la colazione a caffè al caramello solubile e pane nero “Sportivniy” 



mi sono buttata nelle orribili e scassatissime strade dell’oltrebrutta Naberezhnye Chelny. Tanto i russi guidano bene e ordinatamente sulle autostrade, tanto sono dei dementi cafoni e pericolosi nelle città. Per dirne una: strada in paese chiusa per lavori; le auto che fanno? Non prendono la deviazione (segnalata) ma transitano a manetta sul largo marciapiede, sfrecciando tra pedoni ormai abituati a ogni abuso, banchetti di frutta e chioschi di giornali.
Per fortuna questo largo buco di culo è finito in fretta, con tanto di ultima cartolina di saluto: un’immensa centrale nucleare alla Simpson, che resta immobile e silenziosa a scrutare l’umanità che corre lì sotto nel fango.




La brutta sorpresa di oggi è che l’amata M7 si è trasformata in una stradina di dimensioni ridicole, non certo adatte al traffico e alle dimensioni abnormi dei camioni e dei mezzi speciali che, pure, si ostinano a passare di lì. Forse perché è l’unica strada, eh. Fra l’altro le due misere corsie, una per senso di marcia, non hanno bordo e, anzi, spesso corrono tra strisce di sassi aguzzi o fango spesso, o sabbia, o a strapiombo su salti di qualche metro, tra i campi. Roba da farsi male, insomma. A ciò si aggiunga che tutti sembrano avere molta, moltissima fretta. Le auto fanno slalom tra i camion, i camion superano altri camion, i tir strombazzano e accelerano in contromano. Ma dove cazzo vanno tutti? E’ in questi momenti che mi si fa chiaro quanto l’umanità abbia davvero esagerato con questa storia dei motori e del trasporto su gomma. Quando è troppo, è troppo.



La nota positiva, invece, sono i paesaggi che scorrono ai bordi del minuscolo fiume infero che è la strada. Sono colline coltivate, campi, prati verdissimi ricamati di fiori e boschetti ombrosi. E’ un tripudio di colori e di linfe, radici, cortecce, petali, semini e steli. Un coro silenzioso di bellezza semplice e gratuita, un canto di polline e rugiada, che va a mescolarsi al cielo basso e steso su tutto, dove le nuvole corrono e corrono nella luce di miele.










Ho anche visto diversi animali interessanti, oltre a mucche, capre, cani da pastore e gatti pigri: innumerevoli falchi, che disegnano cerchi larghi nel vento. Passeri o simili dalle ali tutte gialle come i tappeti di colza qui così frequenti. Ben due cani della prateria, quei roditori simpaticissimi, che io credevo vivessero solo in Australia e invece sorpresa, pure nelle aiuole dei benzinai e nei prati della Russia. E poi una volpe rossa, bellissima, che ha corso lungo la strada, pochi metri avanti a me, per un paio di minuti, prima di tuffarsi nel fitto cupo del bosco. Ho interpretato questo incontro in due modi, di cui uno si è escluso andando. Vista la pericolosità della strada ho pensato, dapprima, che fosse un segno di fine imminente, come se il mio animale totemico fosse giunto a mostrarmi l’ultima strada prima del nero della terra, vista dalla parte delle radici; un po’ come il “coniglio nero della morte” de La collina dei conigli, entità d’ombra con cui i morti saltellavano via tra l’erba, lontani ormai dal loro corpo. Non abbiatemene. Ho il senso della morte e della finitudine più sviluppato degli altri cinque, la vedo ovunque e la percepisco come immancabile compagna di viaggio di noi tutti. Anche per questo pedalo e corro via nel vento, come il cavaliere di Samarcanda.
Poi ho invece pensato che la volpe fosse un segno positivo, un incoraggiamento: è terra di volpi questa, terra amica delle code rosse, terra di tane. Non può succedere niente di male. E così è stato.
Mi sono fatta forza e ho pedalato con nuovo vigore, per arrivare il prima possibile; non si contano  le bestemmie e gli insulti urlati ai conducenti disgraziati, malnati ecc ecc, che, gridati al cospetto di cielo e terra, dan sempre una gran carica (anche se i diretti interessati nemmeno sentono… Forse meglio così).
Ho fatto un’unica pausetta per mangiare una mela e bere questa roba qui, che è acqua fortemente gasata al gusto di pesca. Non commette mai l’errore mio d i fidarvi dell’etichetta: fa schifo. Ho ruttato chimico per sei ore. Mea culpa.



 (io che medito sull'errore della lavatura di piatti, la dishwash alla pesca gasata)

In una finissima pioggerella, comunque, sono arrivata finalmente al confine tra Tatarstan, ormai alle spalle, e Bashkortostan.



Di quest’ultimo, dolce di campi obliqui e betulle di zucchero, ombre lunghe nella luce arancione del sole basso, non ho fatto foto, per ora. Ero troppo presa dal mio pedalare zoppo e impegnata più nel portare il culo alla meta che altro.
Oltretutto qui si salta avanti di due ore secche. Lo spazio si mangia il tempo e, dalle 18 che erano, sono diventate, un metro oltre il confine, le 20. In effetti era ora… Stamattina mi sono svegliata alle 4 e il sole era già altissimo nel cielo, che nemmeno su Venere.

Diciamo due parole su questo poste dal nome strano.
Si tratta della regione più popolosa della Federazione russa e anche di una delle più ricche. Qui, dagli anni ’30, se estrae petrolio, ma anche gas naturale e ogni tipo di minerale e metallo. Le industrie raffinano e lavorano questi prodotti, oltre ai molti frutti dell’agricoltura, qui ampiamente sviluppata (insieme all’allevamento soprattutto di cavalli).
Le religioni più diffuse sono quella musulmana sunnita, in primis, e quella cristiana ortodossa, al secondo posto.
A scuola si studia il russo ma tanti preferiscono chiacchierare in baschiro, che è una lingua del ceppo turco, così come turca è l’etnia dei baschiri. Bash- significa “testa, capo” e -qort “lupo” animale sacro per queste popolazioni. –Stan è il solito suffisso persiano.
Qui fin dal paleolitico si erano insediati alcuni gruppi, che divennero stanziali solo a partire dall’età del bronzo, con alcune culture locali che han lasciato manufatti, armi e gioielli di grande bellezza (ma ne parliamo meglio domani in loco).
Di baschiri e Baschiria, in russo, si inizia a parlare solo dal XVI secolo; ma questo popolo viveva qui già dal VII o addirittura prima; nel X secolo ne fa menzione il geografo e matematico persiano Al-Balkhi, che li divide in due gruppi: i nostri, degli Urali, e quelli del Danubio, che vivevano ai confini dell’Impero bizantino. Come è piccolo il mondo. Negli stessi anni ne parla anche il geografo ed esploratore, sempre persiano, Ibn-Ruste. Perché la cultura, in quegli anni, era in mano loro. Da noi, in Europa, la gente tirava le proprie feci dalla finestra e dimenticava con cura come si scrive e legge.
Anche qui giunsero i mongoli dell’Orda d’oro e, alla sua dissoluzione, nel XIV secolo, la moderna Baschiria era divisa tra il khanato di Kazan, quello siberiano e le lunghe dita dell’Orda Nogai, unione di tribù mongole e turche delle steppe, direttamente discendenti da Gengis Khan. Quando nel 1555 Ivan il Terribile conquistò Kazan, come abbiamo detto i giorni scorsi, le tribù baschire si avvicinarono al potere dello zar con la volontà di unirsi pacificamente alla Moscovia. Così, rapidamente, la Baschiria si russificò. Nel 1798 fu fondata l’assemblea spirituale dei musulmani russi, per concessione dello zar, e Ufa divenne la città principale a metà Ottocento. Nel ’17, dopo la rivoluzione, fu creata la repubblica autonoma del Bashkurdistan, che ebbe vita brevissima: nel ’19, infatti, senza spargimenti di sangue e di comune accordo, divenne repubblica socialista sovietica, la prima dell’Urss con legislazione autonoma. Dal ’90 invece, la repubblica fa parte della Federazione russa. E siamo arrivati a noi. 

Con gli ultimi sforzi sono giunta alla casa di oggi, che è il lussuoso Motel Avtodvor, affacciato direttamente sulla M7. 



Solita formula: ristorante self-service (particolarmente urfido ma ottimo) 









sotto e stanze sopra. Bisogna scegliere se prendere la camera con la doccia o rimanere unti e incrostati, coi tarzanelli di fango addosso. Visto che già è andata così ieri, meglio lavarsi, oggi. E quindi mi han rifilato una cosa grande come un appartamento, col divano, il tavolo, l’anticamera e il lettone. Che chiccheria!





Dopo la doccia ho cenato con borsh (la spettacolare zuppa russa di barbabietole, cipolle e carne, con panna acida aggiunta fredda), tortino freddo di patate, barbabietole e cipolle, che è tipico di qui, carote piccanti e insalata mista solita. E pane nero alla Celan.



Avendo ancora fame, ho optato per un gelato. Impossibile resistere al CCCP.



Ahimè, una volta scartato, si è dimostrato in tutto e per tutto simile alla vera CCCP: buonissimo ma del tutto spappolato, esploso, con pezzi persi e sgommate di cioccolato.



Ora sono in stanza e dalla finestra mi godo il primo tramonto baschiro. 



Domattina farò una breve esplorazione del paese, che sa di very much fangoso e ha un nome che pare un codice fiscale: Verkhneyarkheevo. Che, detto così, pare una supercazzola prematurata. Ma per dove? Con scappellamento a destra, come se fosse antani!
Domani poi la tappa è di soli 90km, e mi porterà a Kushnarenkovo, sede di una particolare cultura (omonima) dell’età del ferro; sarà un ulteriore avvicinamento alla capitale del Bashkortostan, Ufa, dove arriverò dopodomani e mi fermerò un giorno.



4 commenti:

  1. Ho incominciato da pochissimo a leggerti, una roccia ��

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  2. Mia moglie pensa che mangi troppo poco! :) coraggio, domani sono solo 90.

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  3. Una volpe rossa, bellissima, pochi metri davanti a te!!! Mi sa che aveva avvertito il passo di un'amica: la volpe a pedali. Un abbraccio. Sila

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