giovedì 20 luglio 2017

Ventunesima tappa. Kurgan, le tombe degli indoeuropei e i cieli alti della Siberia





Sono in una città che si chiama, letteralmente, “tumulo funebre”.
Kurgan.
Tomba a tumulo nelle lingue slave orientali e, indirettamente, in quelle turciche.
Per carità ha delle zone mica tanto belle, ma addirittura definirla così mi pare eccessivo!
In realtà dietro a questo nome si celano delle ragioni storiche interessantissime e, incredibilmente, non troppo sanguinarie.
Qui si sono trovate numerose tracce della cosiddetta cultura kurganica, un non ben definito insieme di culture sviluppatesi fin dal 4000 a.C. e soprattutto poi nell’età del bronzo in Asia centrale, Siberia, sugli Altai, in Mongolia… Insomma, da queste parti.
Rientrano nella dicitura tutte queste culture che usavano seppellire i morti di alto rango in tombe a tumulo, insieme a carri da guerra, gioielli e beni sacrificali; le tombe potevano poi essere semplici fosse singole ricoperte da una collinetta o vere e proprie case sepolcro o catacombe.
L cultura kurgan, che compare nel Calcolitico sul Caucaso, si espande poi verso tutti e quattro i punti cardinali, portando con sé non solo l’uso dei tumuli ma anche la lavorazione della ceramica e della terracotta, la domesticazione del cavallo e l’ascia da guerra in pietra.
La cosa interessante è che le culture kurgan sono state identificate con i proto-indoeuropei, agli iranici di Siberia e agli Sciti. A supporto dell’ipotesi indoeuropea di sono anche studi che vorrebbero tutti i cadaveri inumati in kurgan, a prescindere dalla zona in cui sono stati trovati, legati da una somiglianza genetica: alta statura, cranio di identica forma e altre caratteristiche europoidi condivise. Stando a queste evidenze, la teoria più in voga è questa: sulle coste del Mar Nero abitavano alcune popolazioni indoeuropee che, nei millenni e a diverse ondate, si espansero sia nei Balcani, sia nelle steppe asiatiche, sia in Russia e Scandinavia.
Per intenderci: la terza ondata di espansione indoeuropea, intorno al 2300 a.C., giunse anche in Grecia e questi sono gli Elleni. Tutta l’Eurasia viene indo europeizzata dal punto di vista linguistico (con la suddivisione successiva in centum-satem) e culturale. Se ciò sia avvenuto con una pacifica diffusione o con violente invasioni ancora non si sa, anche se gli studiosi propendono per la seconda ipotesi. Si diffonde un’ideologia guerriera e patriarcale, che sostituisce quella più pacifica e matriarcale della vecchia Europa; la dea madre, il femminino, legato alla fecondità della terra viene sostituito dal culto del dio padre celeste, Zeus, Dyaus, Giove. Queste tribù si impongono militarmente sulle popolazioni indigene e impongono lingua, leggi, culti. Le menadi sono costrette a danzare di nascosto nei boschi e con loro Dioniso viene esiliato ai margini della società, il sangue e la terra e il sesso e il vino vengono segregati sui monti; nelle città dominano Zeus, il padre dei cieli, e il candido, razionalisissimo Apollo, che non suona per far ballare le donne e i fiori ma per produrre cifre matematiche in armonia e perfetto equilibrio.

Insomma, indoeuropei a parte, sono a Kurgan, sito di tombe a tumulo di età protostorica.
Invero la città in sé venne fondata nel 1660 con il nome di Tsaryovo Gorodishche da un ricco fattore, Timofey Nevezhin. E’ quindi una delle più antiche della Siberia. La città assunse presto il ruolo di roccaforte a difesa del principato russo dalle incursioni dei nomadi delle steppe che, comunque, in più occasioni riuscirono ad impadronirsi della fortezza, bruciandola e lasciandone solo macerie e cenere. La roccaforte divenne città solo sotto l’impero di Caterina la Grande, nel 1782. Poi divenne centro dell’omonima oblast, quale è tuttora, con tutte le sue sedi amministrative, le università, le scuole, i musei, i teatri e tutto ciò che si trova nelle “capitali” di queste regioni.
Anche di qui passa la transiberiana, da cui a breve mi distaccherò, scendendo in Kazakistan, prima di incontrarla di nuovo verso Omsk. 



Ci sono tantissime industrie di auto e camion e autobus, un centro all’avanguardia per la traumatologia (potrei sottoporre loro i miei due braccetti bionici), una ex base militare dell’aviazione, famosa durante la guerra fredda, e immensi tubi ovunque, perché qui è un gasdotto unico; che si spera non abbia perdite, altrimenti basta una sigaretta accesa nel posto sbagliato per far saltare in aria mezza città.

“Cantami di questo tempo
L'astio e il malcontento
Di chi è sottovento
E non vuol sentir l'odore
Di questo motore
Che ci porta avanti
Quasi tutti quanti
Maschi, femmine e cantanti
Su un tappeto di contanti
Nel cielo blu.”





Come dicevo, alcune parti di questa città non sono proprio bellissime, per usare un eufemismo.
Per fortuna ci sono dei fioroni immensi un po’ sparsi ovunque che migliorano il panorama generale.










Sono in un ostello veramente carino, dentro, ma davvero inqualificabile da fuori. Il Discovery Hostel è di fatto introvabile. Sta in una corte di un vecchio complesso industriale abbandonato e in rovina, dove sono sorti vari negozietti e bugigattoli. Per altro condivide l’ingresso con un supermercato, come pare sia di moda qui, e quindi per trovarlo ci ho messo una vita.




Poi le stanze sono belline e pulite (io sono nella “Antartide”), la cucina ha tutto, i bagni sono divisi tra maschili e femminili e la signora della reception è una grossa chioccia in grembiule che si comporta da mamma premurosa con tutti. Come già capitato, sono l’unica ospite femmina; per il resto sono lavoratori che vivono in ostello, in camerata e con tutto in comune, per stare in centro città, e tornano a casa dalle famiglie solo durante le vacanze e i weekend. Da noi una roba del genere è impensabile; solo gli studenti, al massimo, lo fanno.









Stasera ho scambiato quattro chiacchiere con un ragazzo che sta qui appunto per lavoro. Parla un po’ di inglese e mi ha detto che fa l’ingegnere (lo ha affermato tirandosela un po’ troppo); mi ha chiesto che lavoro io faccia e, alla mia risposta, con poco entusiasmo, ha domandato: “Quindi sai leggere le lettere greche?”. Be’ un pochino sì. Ma poi sono quasi uguali alle vostre, capirai! E mi ha detto che è stato in Grecia nel 2007 ma non vuole tornarci perché ha paura degli effetti della crisi. Mi ha poi chiesto cosa ne pensassi dell’economia russa. Per farlo contento gli ho detto che è una delle principali potenze mondiali, ma ciò lo ha infastidito: “Una delle? E’ la principale potenza! America e Cina vengono dopo!”… Se lo dici tu, ok. Poi mi ha chiesto se avessi figli. No. Ma quanti anni hai? 26, sono ancora giovane per i figli! E lui, serissimo, ha risposto che sua moglie ne ha 28 e sono già al quarto pargolo. Eh la madonna! Qui comunque è così: una donna diventa tale solo quando procrea. Infatti le ragazze han tutte molta fretta di sposarsi e figliare. Io anche no, grazie.
In proposito, ecco alcune delle parti più degne di questa Kurgan: il monumento alla famiglia,




i soviet dell’amore, con le due fedi sotto cui far le foto di fidanzamento e dove ci sono tutti i lucchetti alla Moccia, pegno d’amore, di quell’amore catena, amore palla al piede, amore chiuso a chiave, amore carcere, amore blindato che tutti noi sogniamo fin da piccoli, come forma socialmente accettata di ergastolo.







Poi ci sono la cattedrale Alexander Nevsky, 








il parco bello con i giochi, 






il monumento ai caduti in Afghanistan 




e una Nike con falce e martello sullo scudo. 




Palazzi, università, banche, strade belle da passeggiare, magari con un gelato nostalgico del CCCP, sotto l’ombra di un Leninone che non ha ancora abbassato lo sguardo. Immancabili i venditori di cose e gli annunci di dubbia moralità.

















I più pignoli, a questo punto, avranno già la domanda in canna.
Ma oggi hai pedalato per 250km?
Ebbene, no. Oggi è stata una tappa sui generis.
La questione è semplice: tra Chelyabinsk e Kurgan ci sono 250km abbondanti e in mezzo nessuna struttura per fermarsi. Ce ne sono poco fuori dall’una e dell’altra città, ma nel mezzo si stende tutta questa terra piatta e bassa di prati e boschetti e laghi senza un accidenti maledetto di niente per fermarsi la notte. Esclusa l’idea del campeggio libero (non mi fido e il clima non invoglia), delle due l’una: o pedalare e farsi tutti questi kilometri one shot, o farsi dare una mano. Siccome conosco i miei limiti e so che, se pure le gambe girano anche per 250km, la testa non regge strade dissestate e camion e filo di chiappa per qualcosa come 12 ore, ho optato per la seconda scelta.
Ho fatto benissimo. Tutta la strada è stato un delirio di lavori in corso, sensi unici alternati con i tir a 120 all’ora, zero bordo, catrame fumante. Sarebbe stato impensabile, per me.
Ieri sera ho messo il buon uomo dell’ostello a parte dei miei crucci e lui, dopo un rapido grattarsi la barba, ha tirato fuori dal cilindro il suo amico tassista (t’assista, come dio) che lavora a Omsk ma sta qui a Chelyabinsk nel periodo estivo e però deve rientrare a casa ed è di strada su Kurgan. Ottimo. S’è fissato l’appuntamento con Danil per mezzogiorno.
La mattina, dopo una colazione con mattonelle di cereali alla mia postazione The wall, 




sono andata a salutare Chelyabinsk, i suoi spazi grandi e il suo Lenin. 






I cartelli di Basta e del "Circo Sciapito" (traslitterazione precisa), che è un circo insipido, con i leoni vecchi e spelacchiati, i clown che non fanno ridere e giocolieri che fanno cadere le clavette ogni tre per due.



Poi via per un interminabile numero di ore attraverso questa fetta di Siberia verdissima e buona a vedersi in questa stagione calda.
Di Danil ho saputo che: sua moglie non lavora da quando è nato il loro unico filgio, Ilya, che si chiama così non come il profeta ma come un eroe dell'epos russo. Lui, sempre due anni fa, ha comprato il van con il quale lavora. Sa qualcosa di inglese, studiato a scuola, ma lo sta dimenticando. E' andato in vacanza, in passato, in Spagna e in Turchia. Sogna di tornare in Turchia, a Izmir, ma ora non ha i soldi. Quando Ilya sarà grande e si manterrà da solo, lui e sua moglie potranno finalmente andare in vacanza ad Izmir. Qui la benzina costa 0.5 euro al litro, il gas 0.10 euro al litro. La sua auto può andare con entrambi i tipi di carburante ma consuma molto. Meglio fare il gas, che è più economico. Quando si fa rifornimento si deve scendere dal veicolo e stare lontani dalle bombole, che manovra un'addetta. Mi ha chiesto dei prezzi del carburante in Italia ed è quasi svenuto a sentirli. Ma noi lo dobbiamo importare e ci sono tante tasse. In auto non si fuma perchè altrimenti si salta per aria. Però quando si è in coda per i sensi unici alternati tutti scendono da macchine, furgoni e camion e si accendono una sigaretta.
 
















Domani mi aspetta una tappa piuttosto lunga, da 140km, ma, siccome quella successiva è corta (50km) se trovo un posto per fermarmi prima sulla strada bilancio meglio il kilometraggio. Altrimenti tocca puntar sulla ridente Makusino, che conta ben 3 strutture. Per la cronaca, qui l’autostrada già si chiama “Bajkal”. E, sempre per la cronaca, tra due giorni passerò il confine kazako.
Intanto mi godo questi cieli siberiani



“Non v'è paese che conosca alture più vaste o più profonde di abissi dell'anima umana. L'eternità della sapienza incomprensibile vi toglie ogni limite anche alla natura, che senza freno dona e uccide, sia alla magica luce delle ardenti "notti bianche", sia nella perduta oscurità di furiose tormente di neve”. (Theodor Kröger)

E la solita cena di scatolame, caricatore di surimi (diventerò una volpe rosa come i fenicotteri, che sono così, da quel che so, perché mangiano gamberelli), lavash e una nuova bella scoperta: la zuppona di verdure in vaso di vetro, buonissima e solo da scaldare. Ma che si vuole di più?







2 commenti:

  1. brava volpe
    forza e coraggio
    le tue avventure mi fanno compagnia ogni sera

    RispondiElimina
  2. Bella la poesia all'inizio di questo post: una presentazione immediata ed efficace. Quante cose sto conoscendo grazie a te! Sila

    RispondiElimina