domenica 2 luglio 2017

Seconda tappa. Il bianco e l'oro e le fiamme dell'antica capitale. Da Elektrogorsk a Vladimir.





8 febbraio 1238.
La città è in fiamme. Solo nel primo giorno dopo la conquista della città sono bruciate 32 chiese e decine e decine di case. Dei morti si è perso il conto. La famiglia del gran principe di Vadimir-Suzdal, Yuri II, è arsa viva in un monastero in cui aveva cercato rifugio, mentre lui è fuggito, ma morirà entro un mese nella battaglia del fiume Sit. Tutto brucia, le fiamme si mangiano la capitale. L’orda d’oro dei mongoli e tartari guidati da Batu Khan ha travolto anche Vladimir. I bagliori dell’incendio, il fumo e il sangue disegnano ombre di orrore su quella che è stata la più bella città della Russia fino al giorno prima.



Per tanti anni Vladimir era stata un perla, lo splendore del principato, fulgida nel bianco delle pietre intagliate di chiese e palazzi e nell’oro delle cupole. Un gioiello, opera della mano sapiente di maestri russi, tedeschi e georgiani. Una goccia di meraviglia in mezzo al verde cupo dei boschi, una scheggia di luce tra cielo e fango.
In pochi giorni tutto viene distrutto. Sulle macerie e sui cadaveri si deposita uno strato di cenere e quella cupa polvere resterà nei secoli a venire, perché Vladimir non riuscirà mai del tutto a risorgere e tornare alla bellezza prima.
Tutto viene distrutto… Ma no, qualcosa si salva. Si salvano la maestosa Cattedrale della Dormizione, costruita a metà dell’XI secolo, affrescata nel ‘400 dal pittore e santo Rublev e usata dall’architetto Aristotele Fioravanti per l’omonima chiesa costruita alla fine del ‘400 nel Cremlino di Mosca




la Cattedrale di San Demetrio, costruita negli ultimi anni dell’XI secolo grazie a maestranze bizantine inviate dal Barbarossa e georgiane, mandate dalla loro regina



e la Porta d’oro, accesso alla città fin dal 1160.



E per fortuna non tutto è andato distrutto con le invasioni dell’Orda d’oro, perché sono meraviglie che non si possono perdere, passando da Vladimir, tappa di oggi.



Ma riavvolgiamo il filo del discorso e partiamo dall’inizio.
Stamattina, insperabilmente, il tempo si è presentato più che buono, con un sole in cui non potevo credere dopo i temporali della notte.



Colazione e via, a riprendere la M7. Oltretutto per la prima ora di pedalata ho avuto il vento a favore; questo, la luce di miele, il cielo vastissimo e gli sconfinati orizzonti di prati e boschi mi hanno commossa. Che bella la strada, quando è dolce e mansueta e porta lontano.

Nei primi kilometri ho incontrato una sorta di paesino (una decina di abitazioni fatiscenti in legno) in cui ogni casa, affacciata sull’autostrada, vende peluches giganti, bandiere e statue da giardino. Ogni singola casa, tutte così.





(un dei molti cartonati di vigili. Da lntan gni vlta sembran veri, cn tanto di lampeggianti funzionanti. 
Che burloni, che infarti)



Ho pedalato a lungo in zone poco abitate, tra qualche saliscendi e muri d’alberi ai lati; nella sosta per calare qualche zucchero in pancia, mi sono accorta che la luce stava cambiando rapidamente e intorno si stavano addensando nuvoloni sempre più neri. In effetti per oggi erano previsti temporali tutto il giorno. 






Non pensavo di aver l’onore di beccarmi sulla capoccia il nubifragio più forte di Mosca degli ultimi 50 anni; ho saputo poi che molti voli sono stati ritardati o cancellati. Vedete? In bici si prosegue comunque. In un attimo tutto è diventato buio e freddo, poi tuoni così forti da farmi sobbalzare: crolli di nubi, scontri tra divinità pagane, fulmini lunghissimi come nei film. E acqua. Tantissima acqua. Non mi sono nemmeno preoccupata di fermarmi da qualche parte a cercare riparo. In cinque minuti ero già così fradicia che più di così, anche a volerlo, non mi sarei pouta bagnare. Ha ragione l’amico ciclo viaggiatore Silla Gambardella, quando dice che prender pioggia dà fastidio nel momento in cui si passa da una condizione (l’esser asciutti) all’altra (l’esser gamberetti di fiume dai lunghi baffi). Quello che ci dà fastidio è il mutare stato. Poi, dopo un po’, l’esser fradici diventa la condizione normale, ci si abitua e nemmeno ci si fa più caso, tanto più che non faceva troppo freddo. Diciamo che ho testato l’impermeabilità, ottima, delle borse. L’unico problema sono stati i momenti in cui pioveva così fitto e forte da impedire di vedere la strada. Siccome io viaggio sempre nella mia corsia di emergenza,ma questa è spesso sterrata o accidentata, con buche e gradini d’asfalto, non vedere come sia è male. Eppure ci si deve fare una ragione anche di quello: le strade imbarcano acqua e diventano laghi, così piove pure dai lati quando passano auto e camion che sollevano onde da parco acquatico, ma luride di fango, e ci si tira addosso o si affonda, con la bici, quella broda tiepida che riempie la strada. Ma, come già pensavo l’anno scorso, in poco esser fradici in una natura completamente bagnata, diventare fango e terra, diventare acqua e nuvola, riporta alla connessione col tutto che sta a metà tra il buddhismo e lo stoicismo, tra il nirvana e il klinamen. Quindi, d’ora in poi, la cervicale da umidità la chiameremo inclinazione del klinamen.




Qualche punto è stato duro sia per le condizioni dell’asfalto, sia per le salitine ripide e bastarde, da risalire come un salmone controcorrente, sia per i lavori in corso che restingevano a una sola corsia l’autostrada e si sono mangiati anche la mia striscina salvifica. Tra un moccolo e una sosta sotto alle fermate dell’autobus in mezzo al nulla, comunque, mi sono avvicinata alla meta, per poi raggiungerla con un ultimo colpo di coda di gamberello (in cui mi trasformo quando piove). Un uomo, fermo a trafficare nel motore dell’auto in panne, vedendomi, mi ha detto qualcosa di bello e poi, come segno di stima, mi ha salutata con il pugno chiuso. Ah, le ultime schegge di Novecento, altro che questa roba qui.



Arrivata in città (conta 350.000 abitanti), mi sono fermata a visitare i vari monumenti, con tanto di autista di pullman che mi ferma e mi dice che sono una good girl e mi fa una foto davanti alla Cattedrale della dormizione. I russi tendenzialmente non amano i ciclisti (ne ho visti 2 da quando sono qui) ma apprezzano molto le imprese, gli sforzi epici e questo genere di balle qui. Quindi bene così.






Ancora qualche salitina e sono arrivata all’ostello, finalmente normale, con l’indirizzo giusto, un’insegna grande e visibile, il campanello alla porta, la reception e tutto il resto come si deve (e non come è di solito in Russia). Anche la camera è decorosissima, e il cucinino adatto a preparare i miei intrugli liofilizzati (che ho abbondantemente testato l’anno scorso).



Nell’arrivare alla porta d’ingresso ho dovuto attraversare un’aiuola di puro fango molle, sicchè quando sono entrata con la bici ho lordato tutto il pavimento tutto bellino e pulitino rosa pallido. Pareva la battaglia della Beresina . Per di più ero completamente inzaccherata, e quindi l’idea geniale: entrate in doccia subito vestita, e solo poi, tolto il fango, lavarmi ignuda. Oh, sembra una pirlata ma ha funzionato. 

(i calzini erano bianchi stamattina)



Dopodichè ho fatto un altro giro in centro, perché, dopo tutta l’acqua rovesciatami in testa oggi, è uscito il sole (domattina danno di nuovo pioggia, ovviamente).










(pesciolini secchi sfusi) 



E mi si è parata davanti, oltre alle molte cose belle, la vastità spalancata. Io sto andando proprio da quella parte, ma oltre, molto oltre l’orizzonte.



"a forza di essere vento
porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane
per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare."
(De Andrè)






3 commenti:

  1. Queste immagini veramente "meravigliose" fanno trattenere il respiro per lo stupore:una bellezza, una maestosità, una luminosità,...che non immaginavo. E in tutto questo lo scintillio del tuo sorriso e la gioia che traspare dal tuo viso. Sila

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  2. Splendido racconto! Incredibile impresa! Mitica Volpe!!!

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