sabato 22 luglio 2017

Ventiduesima e ventitreesima tappa. Rotolando verso sud(est). Petuchovo al quasi confine



Ieri ero in un tale bucio de culo di posto che non solo mancava la wifi, ma pure il telefono con la sim russa non aveva nè campo nè rete dei dati mobili. Però c'erano una camera con il letto grande, il bagno con l'acqua calda e un ristorante decente, ovvero tutto ciò che serve a una volpe in viaggio.
Parliamo un po' di questi due giorni passati nella zona orientale dell'oblast di Kurgan, rotolando verso sud est, ovvero vero il Kazakistan.
Partiamo da ieri, 21 luglio.
Siccome mi attendeva una tappa piuttosto lunga, sui 140km se non fossi riuscita a trovare un posto per fermarmi prima del paese, Makushino, ho fatto una colazione lenta e greve e molto sovietika e proletaria: caffè, mela autoctona di quelle che profumano molto e costano poco, pane nero ai semi di finocchio (che è un degno sostituto del lavash e si può anche usare come mattone per costruire le case del popolo).



Il nero pane dell'alba naturalmente si mangia con un coltello infilzato nel mezzo tipo spada nella roccia e con uno sfondo di bibliotechina dell'ostello, a che gli operai leggano nel dopolavoro.



Mentre masticavo piano, alla Primo Levi, la mattonella farinacea, la signora dell'ostello ha portato un piattone di piselli crudi e imbaccellati, offrendoli a me e all'uomo baffuto e taciturno che guardava la tv. Abbiamo favorito entrambi, perchè i legumi a colazione fanno bene, soprattutto se belli radioattivi.




Una parentesi sulla tv russa. La gente qui è drogata di televisione quasi peggio che da noi; sarà che io non ce l'ho, a casa, e comunque non la guardo da dieci anni, ma da queste parti è pazzesco; nelle camere, negli ostelli, nei motel... Manca magari l'acqua calda, manca il cesso, il materasso è di legno e chiodi ma c'è la tv ultramoderna a schermo piatto con mille canali. Pure in mezzo al nulla, vi giuro. E gli avventori di ristoranti e alberghi si imbambolano nella luce azzurrina come intrappolati in un incantesimo malefico fatto di musichine e pubblicità. Comunque, in questi giorni, ho visto che passavano: una serie sulla seconda guerra mondiale; una serie su una squadra di rugby che si deve allenare nella neve per battere i fortissimi rivali che, nemmeno a dirlo, sono americani; un talent dal format uguale in tutto il mondo; il meteo nazionale che dura mezzora perchè la Russia è grande; un programma catastrofista che parlava di cambiamenti climatici e di come tutto il mondo, a breve, verrà sommerso dalle acqua... Tranne la Russia ovviamente; un documentario interessante su Gorbacev; una valanga di pubblicità di carne, birra e medicinali, soprattutto per il mal di stomaco e per stress/ insonnia/ansia. E la chicca: i tg. I tg consistono nel parlare di disastri meteo (alluvioni, esondazioni, siccità ecc) nelle più remote zone del paese e di mostrare Putin che fa cose. Putin che parla ai giovani, Putin che bacia le icone, Putin che saluta il popolo... Nella foto dell'uomo che mangia i piselli (!) potete vedere Putin che fa visita alla donna più vecchia di Russia. Insomma, Putin!
Poi è venuta l'ora di mettersi in strada e, devo dire, ho apprezzato la gentilezza dell'ingegnere dagli occhi un po' a mandorla della sera prima, quello che ha la moglie quasi della mia età e quattro figli. E dai che anche se non ho messo al mondo nessuno un po' ti ho colpito! Mi ha aiutata a portare giù dai due piani di scale la bici e le borse, chiedendomi perchè io stia andando in Mongolia. Perchè non la conosco e sono curiosa, ho risposto. Al lui mi ha dato dettagliate indicazioni circa il clima continentale, il freddo, il secco, i millibar e via dicendo; poi ha aggiunto: "Io ho vissuto a Ulaanbataar finchè ho avuto 5 anni, mio padre era nell'esercito sovietico, di stanza là". Anvedi.
E via, on the road again.





Della tappa in sè c'è poco da dire. Terre piatte, distese di verde a perdita d'occhio, distanze che si sperdono in un azzurrino d'orizzonti così lontani che paiono una leggenda. Il manto d'erba alta è interrotto solo qua e là da scuri boschetti, manciate di alberi, e da acquitrini e paludi in cui si muovono uccelli d'ogni tipo a caccia d'insetti.












Le strade qui sono molto, molto meno trafficate di tutte quelle percorse finora. Probabilmente i camion si muovono sull'arteria che passa da Ekaterineburg senza tagliare per il Kazakistan; così allungano il percorso ma evitano di attraversare le sempre incasinate frontiere. Per me è molto meglio così, naturalmente.
Per i primi 90km non ho trovato nulla, ma nulla nel senso proprio della parola, fuorchè la strada, i cavi dell'alta tensione e la natura intorno. Non un benzinaio, non un paese, non un venditore di funghi e fragoline. Nulla. Per fortuna avevo abbastanza da bere, anche perchè il caldo, insieme al vento secco laterale, si è fatto sentire.











Al novantesimo kilometro esatto un bugigattolo, con le latrine più luride che io abbia mai visto (quelle di Trainspotting non sono nulla in confronto!) e un frigo con qualcosa di fresco da bere. E via di pulpy (che mi sa sempre di succo di cefalopode con otto tentacoli, ma è 'sai buono).




Ormai ero pronta, visto il nulla incrociato per via, a farmi tutti e 140 i kilometri previsti per raggiungere la ridente Makushino, unico paese più o meno degno di tale nome; nel frattempo si è alzato sempre più teso il vento laterale maledetto, che costringe a pedalare tutti tesi e storti per non cadere, alla mercè di contratture e tendiniti.
Poi eccolo là.



Bello come il sol dell'avvenire. A portata di mano, già raggiunto, meta insperata. Un motel con ristorante sordido, in piazzola di fango, degno del più crotto dei camionisti turkmeni, ma lì.



Nemmeno il tempo di pensarci ed avevo già rimediato una stanza con bagno in camera (doccia sopraelevata per uomini alti almeno due metri, altrimenti serve una scala, mannaggia a loro) e vista sulla fanga.








A parte il materasso per fachiri masochisti e la totale assenza di connessione, un paradiso. Intorno solo lo stormire delle foglie, i "finissimi sistri d'argento" delle cicale e la luce caramello ad addolcire tutto.







Poi, ahimè, a disturbar la pace assoluta di assenza di umanità durata tutto il giorno sono arrivate due pullmanate di kazaki. Di per sè non ci sarebbe nulla di male, ma di gente così cafona e maleducata, ne ho vista di rado. Voglio pensare siano un'eccezione. Se ingrandite la foto vedete tutti gli uomini per conto loro, sia fuori, sia dentro al ristorante, preso d'assalto come fan le formiche.




A un tavolo, separate, le donne e le bambine (portate poi via a mezzi strattoni mentre ancora stavano mangiando, solo perchè loro, i maschi alfa, avevano finito).



Per dire: ero al bancone e stavo ordinando con una certa fatica, essendo il menu solo in russo e con piatti per me sconosciuti; arriva un kazako lurido in ciabatte, nemmeno mi interrompe, proprio mi parla sopra e ordina del tè per lui e i suoi simpatici compagni di merende; la barista lo ha rimesso al posto suo, facendo prima finire me. Dio santo, che godimento. Ora dirò una cosa politicamente scorretta. Sarebbe bello che alla parità dei sessi e all'uguaglianza tra tutti gli esseri umani si arrivasse attraverso un pacifico e sereno processo di presa di coscienza individuale e collettiva. Sarebbe bello che tutti capissero che siamo uguali nei diritti e nei doveri, indipendemente dal sesso, dalla religione, dalla nazionalità, da tutte quelle caratteristiche accidentali che ci troviamo addosso nostro malgrado. Sarebbe bello. Però a questa gente un po' di sano comunismo che tira giù le chiese e le moschee e ne fa stalle, cinema e case della cultura farebbe bene. Perchè, ripeto, sarebbe bello che tutti fossero intelligenti e rispettosi. Ma non è così. E allora il rispetto lo si impone. Se no te lo si insegna con le buone maniere dell'educazione siberiana, stupido uomo che tratta le donne come animali.
Chiusa parentesi politicamente scorretta.
Insomma, sono perfino riuscita a cenare. Doppia insalata russa (ovvero mischione di cose a pezzettini, in cui c'è tutto men che la verdura, in abbondante vranga di maionese), pane appena sfornato e una bicchierata di smetana (panna acida) che è finita per intero sul suddetto pane (e non sono morta!). Quel tubo di roba misteriosa pareva allettante invece è senape mischiata a patè di carne. Non commestibile.



Ho corretto il tiro con un soviet gelatino e finalmente aperto uno dei pacchetti di figurine di "Cattivissimo me" che le cassiere, nei supermercati, si ostinano a regalarmi. Ora ne ho tre e sono a buon punto con la collezione, accetto scambi.




Visto il totale isolamento, sia fisico (non c'erano paesi intorno) sia di telecomunicazioni, mi sono sparata un film dei Minipony per perfezionare il mio claudicante russo, addormentandomi, però, ancor prima di capire cosa stesse succedendo.




Essendomi addormentata presto, anche il risveglio è stato di buon'ora.
Mi attendeva, oggi, una tappa breve, di soli 60km, per raggiungere Petuchovo, l'ultima città russa prima della no man's land di 35 + 35km che sta da una parte e dall'altra del confine russo-kazako.
Colazione con due caffè e due fettazze di pane (e due milky way che stavo a corto di zuccheri ad immediata disponibilità) e via rapidi nella mattina di sole già caldo.






Che meraviglia questo cielo azzurro. Temevo di vederne ben poco, visti i primi giorni di viaggio... E invece è vero, mi sto dirigendo verso regioni più aride, steppa o non steppa. Non piove, fa caldo e tutto è coperto di luce come piace a noi popoli mediterranei.





Per fortuna i kilometri da affrontare eran pochi: il vento, laterale ieri, oggi è stato fastidiosamente contrario, tanto che, perfino stasera, sento i muscoli delle zampe affaticati (forse pure per i quasi 10km fatti a piedi nel pomeriggio, che a camminare non sono più abituata ormai). Spingere la Signora, le cui larghe chiappe fan da vela, nella piana battuta dal vento è faticosello.
I paesaggi sono stati simillimi a quelli di ieri, ugualmente disabitati e vasti.
Sono aumentati in numero e dimensioni gli acquitrini.







E con essi, pur abitati da folaghe e simili, anche il numero di tafani enormi e cattivissimi che si arpionano alla pelle e danno dei mozziconi che la metà basta; i giorni scorsi ho incontrato solo grandi zanzare rincoglionite, lente e facili da eliminare. Ma questi tafani sono terribili. Formano una nuvola intorno alle braccia e al viso, in un sordo ronzare, e si posano ovunque, sulla bici, sul casco, sulle gambe... E poi trac, il beccone è servito. Lasciano, oltretutto, dei bubboni inquietanti di cui sono ormai coperta, perfino sulla testa, riparata da capelli e casco! Domani prima di uscire faccio il bagno nel prodotto antitutto che ho con me, poi vediamo chi  ride, maledetti tafanazzi Soyuz.
 
Puntavo su una gostinitsa segnata su Maps in centro a Petuchovo, corredata di commenti tipo: "puzza", "fa schifo", "topaia"... Insomma, un posto giusto. Poi, giunta al paese, ho visto delle allettanti indicazioni per una gostinitsa con tanto di immagini di donnine seminude corredate dalla scritta "sauna" e foto di un tavolo da biliardo. I cartelli indicavano una direzione in mezzo ai bricchi, su una strada sterrata. Bingo, è il luogo che fa per me.




E in effetti sì. Prezzo ridicolo, camera enorme, pulita e con bagno, intorno il nulla. E presto vedrete che forse è meglio così che stare in centro.



C'è pure la wifi, ma che si vuole di più?
Stanza con tappetone, bagno in camera con box doccia da lancio alla Gagarin, letto con cuscini a sacco di sabbia, per le trincee, quando tornerà la Rivoluzione, o a sacco di cemento Fassa Bortolo in caso di urgenti interventi edili, e vista sui campi della Siberia meridionale.







Petuchovo (come pure Makushino) è un insediamento nato per opera dei contadini trasferitisi qui nell'Ottocento dalla Russia centrale; poi questi villaggi si sono espansi grazie alla costruzione delle ferrovie, in particolare la Transiberiana, che prima tirava dritta nell'attuale Kazakistan, che era Russia, e ora invece ci gira intorno. E' una città autonoma solo dagli anni Quaranta del Novecento, dopo la Grande guerra patriottica.
Nel pomeriggio ho avuto modo di fare due passi "in centro", dopo un pranzo da trincea.



Tutta la periferia ha strade non asfaltate, e ringraziamo che non abbia piovuto, oggi, altrimenti altro che rasputiza. Le case, in legno, sono più o meno cadenti ma dignitosissime e molto curate, con le loro tendine e il cumulo di legna di betulla appena tagliata in giardino.
Questa è una casetta degli attrezzi, anche se pare una cuccia per vampiri domestici o la gabbietta per un eremita.





Il paese, sommerso dall'erba alta


Ma con antennona per il 4G


e parabole


e croci per beccare i canali satellitari







Il Magnat




il palchetto da cui parla il sindaco, con gli eroi di guerra locali e far da ala




e l'immancabile monumento ai caduti della Seconda guerra mondiale





la chiesina minuscola



e simboli di altre fedi


Questo è un convoglio della transiberiana. Da notare due cose. La prima è che al passaggio a livello, in auto, non si sgama: oltre alle sbarre si sollevano da terra quelle due rampe di metallo che bloccano pure un panzer. La seconda è che c'è pure un convincente esempio del perchè è meglio non tentare la sorte sui binari.









Questo è un istituto tecnico agrario, nel caso non fosse chiaro.


Mentre questa è una macchina bella.


Per la cena ho prefertio far da me, nonostante la gostinitsa disponga di ristorante. Qui non mangiano frutta e verdura, e io invece sono abituata a consumarne a quintali. Quindi vai di fai-da-te (proprio come il bricolage). Anche il supermercato aveva un'offerta tristina, ma qualcosa s'è arrangiato (nel vasetto c'è una specie di peperonata dolce russa che avevo già provato l'anno scorso. E' troppo buona).


In tutto, ho pure fatto cadere il computer portatile da inarrivabili altezze (il mio metro e mezzo abbondante). Si è un po' scassato ma con due giri di scotch recuperato in un ferramenta qui pare che tutto funzioni.
Tra l'altro mi hanno pubblicato l'articolo dell'intervista fatta a Ufa. Vi lascio il link alla versione web, che naturalmente è in russo (ma dice tutte cose vere e tranquille, vi assicuro).

https://proufu.ru/news/society/italyanskaya_velosipedistka_posetila_ufu_dorogi_v_rossii_luchshe_chem_v_italii/

Ora passo e chiudo. Domani mi attende il confine kazako, che, oltre a farmi perdere tempo per i controlli (spero poco), si mangerà pure un'altra ora. Sarò a +4 rispetto all'italia. Che non è come misurare in anni luce, sicuro, ma la distanza inizia a farsi sentire.
Per il Kazakistan, che dalla Russia è diviso da secondo confine più lungo del mondo (dopo Usa-Canada) non servono visti, per noi italiani, se si resta meno di un mese. E' una novità introdotta quest'anno per incentivare il turismo e le visite all'Expo, che da Milano è volato ad Astana.
Io starò solo due giorni e mezzo, quindi vado tranquilla. Il visto russo, invece, prevede un doppio ingresso: uno l'ho usato per volare su Mosca, l'altro mi servirà nei prossimi giorni per rientrare a Isilkul'.
Non nego che passar le frontiere mette sempre un po' di ansia. Inoltre non avrò internet se non con le wifi, sicchè niente google maps ecc. Dovrò anche cambiare un po' di rubli nella valuta locale, il KZT, che non sta per KaZzeTti ma per Tenge Kazako.




4 commenti:

  1. buon valico di frontiera

    ....... pensa, io oggi sono arrivato sino alla diga di panperduto e mi è sembrata un impresa

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  2. solo tu potevi avventurarti in un'altro viaggio così arduo ma tu sei unuica buona continuazione <3

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  3. La tua capacità di raccontare con delicatezza anche gli intoppi e i fatti meno belli che caratterizzano il tuo viaggio è veramente è notevole. Sila

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  4. Rita sei veramente tanta roba, anche la pravda parla di te.

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