venerdì 7 luglio 2017

Ottava tappa. Da Ivan il terribile alla vodka con i battellieri del Volga. Arrivo a Kazan



 (di loro parliamo dopo)





Quando Ivan la vide, di ritorno dall'ennesimo attacco fallito contro Kazan, capì subito che quello sarebbe stato il luogo adatto. Quel piccolo promontorio sul Volga, a una manciata di kilometri dalla capitale nemica, sarebbe stato il punto di partenza per la vittoria. 




Già si immaginava le mura, le torri e le fortificazioni. Già vedeva le sue truppe acquartierate e fresche, ben approvvigionate e pronte a muovere l'assalto definitivo da quel minuscolo lembo di terra nascosto tra i boschi. Da lì, dove la Svyaga si getta nel Volga, sarebbe anche riuscito a controllare i traffici da e per Kazan, impedendo i rifornimenti e le comunicazioni. 







Ma costruire una fortezza sotto agli occhi del nemico sarebbe stato sconsiderato. I mille occhi del Khan, che vedevano pure nel fitto dei boschi e nelle ombre della notte, avrebbero subito scoperto il piano e portato contro genieri e soldati l'intero esercito nemico. Ivan il Terribile ebbe allora un'idea geniale. La fortezza andava costruita altrove e portata poi, una volta pronta, sul luogo da cui scagliare l'attacco. Fu così che per mesi, a Uglich, gli uomini dello zar tagliarono tronchi e costruirono case, torri, stalle, mura e montarono e smontarono più volte la fortezza, per fare tutte le prove del caso. 







Quando ogni cosa risultò studiata nei minimi dettagli, i singoli pezzi di questa roccaforte prefabbricata giunsero silenziosi sulle quiete acque del Volga fin sotto al naso del nemico. Con questa fortezza Ikea o Lego che dir si voglia, i soldati misero in piedi tutto il complesso fortificato in un solo mese, senza esser visti dalle sentinelle e dalle avanguardie del Khan. Era il 1551. Da lì Ivan si scagliò contro Kazan con tutte le sue forze, con la furia folle della determinazione, e così la città capitolò, nell’anno successivo, e cadde sul palmo aperto dello zar, che subito si richiuse avido su quella capitale che controllava i traffici sul Volga. Intanto, nella fortezza, si erano trasferite decine di persone che avevano giurato fedeltà allo zar. Sviyazshk era ormai una città, ricca di commerci e sede di chiese e monasteri, come era stato un tempo nella remota epoca pagana, quando qui si veneravano gli dei grandi e minuscoli della natura, del vento e delle radici.






















 Ma la storia di quest'isola si fa improvvisamente cupa al sorgere del XX secolo. Nel 1918 i bolscevichi distruggono i luoghi di culto, trasformano il monastero in ospedale psichiatrico e operano fucilazioni di massa, di cui oggi resta traccia in alcune stele mangiate dalla pioggia. Poi arrivano i prigionieri, i condannati ai lavori forzati e gli internati in gulag. Tutto cade in rovina, il silenzio e l'abbandono mangiano poco a poco l'intera città. Il colpo di grazia viene inferto nel 1955, quando si decide di costruire il bacino artificiale di Kuybyshev. Gran parte degli edifici viene mangiata dall'acqua del fiume, da cui si salva solo il cocuzzolo della collina. Gli abitanti scendono da 2000 a 200. A collegare la città alla terraferma resta una strada tortuosa che corre tra i boschi e sull'acqua. È proprio quella che ho percorso io oggi per arrivare qui, all'isola fortezza di Ivan il Terribile, maledetta poi dalla storia che tante anime ha visto spegnersi tra le case di legno e mattoni.












Arrivare è stato semplice e rapido. Dopo un'intera notte di diluvio universale, questa mattina splendeva un pallido solicino che poi, durante la giornata, ha resistito. Colazione con pane nero, pomodori, cetrioli, cipolle, smetana (panna acida) e caffè solubile. E via che si va. 






La cosa bella di oggi è stato il vento pienamente a favore, che mi ha fatto tenere una velocità media molto alta, grazie anche al fondo stradale più che buono.
Insomma, entrare in Tatarstan è stato proprio bello, bello e basta, come se questa terra mi stesse aspettando e volesse accogliermi con tutti gli onori. Mica come la Ciuvascia di broda e melma.













Il problema non è dunque tanto stato arrivare a Sviyazshk, ma andarsene da lì.

Avevo letto di un traghetto alle 16.30 che attracca a Kazan, dove mi fermo oggi e domani, a breve distanza dall'ostello. Non sapevo dei loquaci battellieri del Volga, che navigano sul fiume, sì, ma della vodka. Sono andata a comprare il biglietto per me e la Signora e lì è iniziato il tunnel.



Ah la bici, dice l'enorme bigliettaio-capitano che ha tre denti normali e tutti gli altri d'oro.
Ma dove vai, di dove sei? Sono italiana.
Ahhhh italianski! Amo l'Italia, Celentano, Ricchi e poveri, Totocutugno, Gigi Morandi, ma soprattutto Albano e Romina!
E mi dice qualcosa che non capisco. Poi fa il gesto di bere, con la mano, portandosi un ideale bicchierino alla bocca. Daje va, come si fa a rifiutare? Lascio la Signora sul ponte. La rivedrò solo due lunghe ore dopo. Il buon battelliere mi ha portata nella cucina, dove c'era il suo amico (tre denti sani e tutti gli altri mancanti). Sul tavolo, alla rinfusa, verdure, pezzi di pesce secco, mozziconi, insalate di funghi, bocconi di pane, tazze luride, fondi di caffè, bottiglie. 





Non faccio in tempo a sedermi che mi trovo in mano un bicchierino pieno di vodka. 



Fa pedalare più forte, come il doping! Dice il capitano, che butta giù il primo di una decina di gocci (in bicchieri grandi, pieni).
Poi è tutto confuso.
Io sono astemia e l'"assaggino" mi è bastato per iniziare a parlare correntemente russo e non capire comunque un cazzo. 






Ho vaghi ricordi di discorsi su: la statura umana, morale e politica di Putin. La necessità di riportare l'Ucraina in Russia, perché sono tutti fratelli anche se gli ucraini sono i fratelli scemi dei russi (segue imitazione grottesca del capitan, ormai fradicio pure lui). Memorie di quando era militare a Donbass. Parole riguardo alla pace universale e alla fratellanza tra tutti i popoli russi, purché siano russi. Immagini da Facebook di Putin vestito da suora, Putin tatuato a torso nudo, Putin a cavallo di un orso. Risate. L'altro marinaio canta canzoni italiane e dice che balla, va sempre in discoteca e lì passano Albano e Cutugno, perché la lingua italiana è musicale. Nebbia e fumo di sigarette. Assaggi forzati di pesce buonissimo, praticamente imboccata con lo stesso cucchiaio che stanno usando pure loro, uno per tutti tutti per uno. E poi i faticosissimi saluti. Un thè che sapeva di caffè in tazza comune. I loro nomi li ho scordati, io ormai ero Rituchka. Ma non parla nessuno l'inglese, qui? Ehhh Hitler kaput, l'Europa è amica dell'America ma dovrebbe essere amica della Russia. Poi ciao spasiba e finalmente di nuovo sul ponte. 




Luce, aria.
Mancava mezzora alla partenza del traghetto. Pensavo di potermi decomprimere in qualche luogo silenzioso in santa pace e invece mi si avvicina lui. 




Attacca bottone e biascica cose che non capisco. Mi chiede dove io stia andando e poi attacca una pippa infinita sulla Mongolia, sui visti, il passaporto e la guerra. Poi mi chiede qualcosa di Berlino. Che tipo di scarpe ho, sono strane. Sono belle gonfie le gomme della velocipiet. E alla fine mi aiuta a portare sul traghetto la Signora e le borse e mi stringe la mano con cenni di approvazione e pacche sulla schiena. OK.
Il traghetto poi è partito davvero e, incredibilmente, con me sopra.
Vista la piega assunta dal pomeriggio, non era così scontato.





Il traghetto ha fatto diverse fermate lungo il Volga, nelle due ore di traversata. La gente aspetta sulla spiaggia, in mezzo alle piante, e poi si arrampica sul piccolo pontile che viene cacciato fuori a ogni fermata. Lo spettacolo vale tutti i 100 rubli (1,60€) che costa. 







Ho approfittato della traversata per approfondire un po' la questione del Tartarstan. 
In poche parole è un'altra repubblica della Federazione russa, con capitale storica a Kazan, chiusa tra i fiumi Volga e Kama e dagli Urali. Ci vivono 70 etnie diverse, per la gioia dei razzisti, anche se sono soprattutto Tatari e Russi (con le due relative lingue ufficiali -entrambe comunque in cirillico, come imposto dalla legge, contro il volere di tanti residenti). In questa terra, tra 700 e 1238, sorse la già citata Bulgaria del Volga, che si era arricchita grazie ai traffici con Europa, Asia, Medio Oriente e Baltico. Dal 922 fu diffusa la religione islamica grazie ai missionari giunti qui da Baghdad. Rimase indipendente per secoli, nonostante le pressioni dei Rus di Kiev e dei Cazari ma cadde sotto la furia degli eserciti mongoli guidati da Batu Khan, proprio intorno al 1238. I sopravvissuti si mescolarono poi ai soldati dagli occhi di lince dell'Orda d'oro, di stirpe turco-mongola, ne assunsero i dialetti e diedero vita al popolo dei Tatari del Volga. Un secolo dopo la regione tornò libera e indipendente, in quanto sede del Khanato di Kazan, di cui parleremo domani. Come detto sopra, Ivan il Terribile conquistò tutto il Tatarstan e Kazan capitolò nel 1552. Tutte le moschee vennero distrutte e sulle loro macerie furono erette cattedrali. La popolazione fu forzata alla conversione (perché oggi tanto si dice dell'Islam ma ai cristiani, quanto a violenza, c'è poco da insegnare. Idem quanto a sessismo... Basti pensare alla costrizione a indossare velo e gonnellone quando si entra in una chiesa ortodossa). Fu pure istituito il divieto a costruire moschee, cancellato solo da Caterina II; fu lei a promuovere la ricostruzione della prima moschea, nel 1770. Durante il secolo successivo si sviluppò in Tartarstan la setta islamica jadidista, che promuove la tolleranza e l'amicizia con le altre religioni e popolazioni. Ma questo esempio di fede illuminata fu spazzata via, insieme a tutte le altre, con la Rivoluzione d'ottobre. I tatari, in quegli anni, cercarono di dar vita ad una repubblica autonoma, l'Idel-Ural, ma furono sconfitti dai bolscevichi e nel '20 fu istituita la Repubblica autonoma sovietica socialista tatara. Questo stato è stato dichiarato indipendente solo nel 1990. Oggi fa parte della Federazione russa ma le spinte indipendentistiche sono forti e trovano l'appoggio di molta parte della popolazione, sia quella di fede islamica sunnita sia quella di fede ortodossa, che son le due principali confessioni.

Raggiungere l’ostello, dal porto fluviale, è poi stato semplice.






Dopo essermi sistemata nella minuscola stanzetta, che mi ha costretta a levare una ruota alla Signora e a infilarla sotto al letto, ho fatto una brevissima passeggiata in centro. Della città parleremo poi. Per ora l’impressione è bellissima: le vie sono vive, ci sono artisti di strada, luci, profumi… Dà proprio l’idea della capitale, quale, a suo modo, è. Poi ci sono tantissimi musulmani e donne velate dagli occhi a mandorla, e in una strada trovi moschee e chiese ortodosse alternate, slavi, arabi e orientali. Ci si sente al centro di un calderone di culture e umanità che per secoli è andata mescolandosi. Ed è bello vedere come in questo lato di mondo da secoli le etnie e le religioni convivano, oggi senza attriti. Questo è lo spettacolo umano, il brulicare delle differenze sotto un cielo che, pieno o vuoto che lo si creda, ci copre tutti nello stesso modo e senza distinzioni, piccoli come siamo.










3 commenti:

  1. Che spettacolo. Speriamo tu sia riuscita ad asciugarti un po' dopo la Ciuvascia, che è ormai entrata nel mio lessio personale come sinonimo di umidità molesta :)

    RispondiElimina
  2. Ti avevo detto di seguire la Volga non la Vodka...

    RispondiElimina
  3. Che spettacolo le immagini che hai catturato! Animano e colorano il tuo racconto rendendolo ancor più coinvolgente. Sila

    RispondiElimina