“È la realtà!
Sono in Siberia... Rivedrò questa smisurata terra con i suoi segreti, le sue bellezze, le sue ricchezze, questa terra, la cui storia oggi ancora è inesplorata come le incommensurabili regioni entro i suoi confini, come i fiabeschi tesori che il suo suolo nasconde.
Dalle ignote steppe e foreste di questa terra, un potente e irresistibile fiume di popoli nuovi e di nuove forze si è riversato nel corso dei secoli sulla Russia e su tutta l'Europa”.
Sono in Siberia... Rivedrò questa smisurata terra con i suoi segreti, le sue bellezze, le sue ricchezze, questa terra, la cui storia oggi ancora è inesplorata come le incommensurabili regioni entro i suoi confini, come i fiabeschi tesori che il suo suolo nasconde.
Dalle ignote steppe e foreste di questa terra, un potente e irresistibile fiume di popoli nuovi e di nuove forze si è riversato nel corso dei secoli sulla Russia e su tutta l'Europa”.
Ed io, che percorro questo fiume
al contrario, controvento e controcorrente, sento l’eco di tutti i passi e le
voci e le grida, il canto dei nomadi e degli ufficiali ubriachi, coperti
entrambi dal nero di una notte di stelle lontane, sento il frastuono degli
zoccoli di cavalli al galoppo, che arrivano arrivano e portano fiamme, e di
rotaie fumanti che vanno e vanno carichi d’anime negli spazi infiniti.
Tutto questo si sente nel
silenzio immenso dei campi, nel suono di bordone che fa il vento che soffia cieli
nuovi.
La breve lunga storia di questi
luoghi non è scritta nei libri, ma nella terra, nell’acqua e nella corteccia.
Bisogna imparare a leggere questo muto alfabeto primordiale. Sapevamo farlo
tutti noi, ma lo abbiamo dimenticato con l’inganno della parola e
dell’inchiostro. Bisogna apprendere di nuovo. I sentieri, le piste, le
cicatrici e le linee del palmo della mano sono i segni della strada che porta
lontano. Avanti, avanti dice la luce che filtra a stento tra le nuvole, avanti
verso l’alba, avanti verso l’orizzonte. Avanti, avanti, prima che faccia buio,
prima che sia troppo tardi.
E avanti andiamo io e la Signora,
in questa Siberia che oggi ci è stata amica.
Dopo una colazione con profumatissimo pane ai
semi di papavero e cerealizi (laterizi di cereali),
ho salutato Omsk che stamattina
splendeva raggiante in un sorriso di sole caldo e bello come dovrebbe sempre
essere.
La biblioteca di Pushkin
La torre dei pompieri da cui si
avvistavano gli incendi, così drammatici nelle città di puro legno e stufe a
viva fiamma
Un bel globo
E la moschea dove risiede l’imam
di Siberia.
Che meraviglia. Sono abituata ad associare l’islam al medioriente,
al sole d’oro opaco e alle terre calde e bruciate dal sole; qui invece la
mezzaluna si erge nel candore delle nevi altissime e ribalta le immagini
stereotipate in cui si incastra il pensiero fin troppo spesso.
Appena fuori Omsk mi si è parato
di fronte un muro di nuvole nere come l’apocalisse, un armageddon temporalesco
di spiriti maligni delle bufere. Il vento era teso e laterale. I nuvoloni si
avvicinavano in fretta alla strada su cui mi trovavo e l’impatto sarebbe stato
inevitabile.
E va bene, anche oggi si nuota. La pelle già stava diventando di
grigia pietra porosa, come quella delle statue del Buddha con il loto in
grembo, e già era sorta la luna crescente del sorriso dell’atarassia stoica. Mi
stavano crescendo i baffi lunghi da gamberetto che zampetta nelle correnti.
E
invece. Invece il vento era talmente forte da far correre via i nuvoloni in
tutta fretta, una slavina nera di tuoni a precipizio. Le strade erano fradice ma
io, io no. Il temporale mi è passato davanti e sopra senza rovesciarmisi
addosso. Ma che grandioso regalo, Siberia, che gesto d’amore!
In preda alle endorfine da cieli
azzurri, in strappi sempre più estesi tra le nubi, mi sono lanciata a
percorrere i quasi 90km di tappa odierna.
Non ho preso la solita autostrada
ma una parallela, meno battuta e più deserta, che mi ha permesso un’immersione
totale nelle campagne della zona. Che pace, che assoluta tranquillità in questa
natura grandiosa fatta di piccolissime cose. In questo perpetuarsi millenario
del rito della radice e del seme, della morte e della rinascita. Credo che se
mai si debba venerare qualcosa, su questo mondo di contingenza e rapide giostre
di luce ed ombra eterna, queste siano le piante. Sono ciò che più sa
avvicinarsi all’eterno. Non nel singolo elemento ma nel loro insieme.
L’universale nel contingente, l’eterno nel transitorio. L’assoluto, un dio di
linfa in un tempio di rami, in ciò che pare meno importante.
Ho attraversato così gli oceani di
verde enorme e di terra fertile. L’unica presenza umana per i primi 50km è
stata questo kafè, che mi ricorda le stazioni di posta del far west (e del far
east, qui, a quanto pare), con immancabili venditori di funghi, che, a furia di
stare a contatto con la loro merce, hanno appreso l’arte dello spuntar dalla
terra così, senza motivo, dopo un acquazzone.
Poi sono passata per Kormilovka,
che sorge sull’Om, fiume che ho seguito per tutta la tappa.
Fa ridere che non si sappia bene
come sia nato e perché, questo villaggio. Qualcuno, con il riferimento al cibo
contenuto nel nome, pensa fosse un luogo di sosta, con magari una locanda o una
taverna, per i mercanti e i soldati in transito da Omsk a Novosibirsk. Altri
sostengono che il nome derivi dal generale delle armate bianche Kornilov, che
qui avrebbe radunato numerose forze. Io propendo più per la prima ipotesi.
In ogni caso la data di
fondazione della città si fa coincidere con l’apertura della locale stazione
della Transiberiana: 1896 .
Proprio l’arrivo della ferrovia
attirò qui contadini dall’Ucraina e dall’Asia centrale, che cercavano in
Siberia una terra più libera e non gravata dalle pesantissime tasse cui erano
sottoposti. Sorsero una costellazione di insediamenti rurali, che tutt’oggi si
incontrano per via.
L’importante snodo ferroviario e
la volontà di investire sull’agricoltura, con i piani quinquennali, fecero
crescere in fretta la città; nel 1930 comparvero i primi allevamenti di stato e
le aziende agricole collettive. Poi le industrie, legate soprattutto al settore
alimentare. Durante la Seconda guerra mondiale, tuttavia, questi villaggi
furono letteralmente svuotati: tutti gli uomini, esclusi solo bambini e
anziani, furono spediti al fronte. Non tornò quasi nessuno.
La zona è stata poi forzatamente
ripopolata nel dopoguerra, spedendo contadini dalla Russia occidentale a
lavorare le terre abbandonate
Sullo stemma svetta il simbolo
della città, un panificio, per decenni uno dei più grandi della nazione; ancora
oggi grossa parte della popolazione è impegnata nel lavoro dei campi e nelle
industrie alimentari: panifici, macellerie, caseifici… Anche i dintorni
confermano questa vocazione di spighe e farina, di semi e solchi che il territorio mantiene da
secoli.
Ancora qualche colpo di pedale,
con il vento laterale sempre più teso e secco, ancora qualche mar di verde e
villaggio contadino,
e sono arrivata alla meta di oggi. Kalachinsk, sull’Om.
E’ un’altra stazione della
Transiberiana, di cui ho seguito le rotaie per tutto l’ultimo tratto di strada.
Il primo insediamento qui risale
alla metà del Settecento, quando si acquartierò un drappello di soldati mandati
ad esplorare la Siberia, alla ricerca di oro e giacimenti. La data ufficiale di
fondazione è il 1794, quando una manciata di famiglie si stabilirono sulla
sponda dell’Om per coltivare le terre vergini. Il villaggio rimase un minuscolo
alveare di case in legno per anni: qui non arrivarono il latifondo e le grandi
aziende; un minimo di sviluppo si ebbe nella seconda metà dell’Ottocento, con
l’abolizione della servitù della gleba, ma la vera spinta fu data, anche qui,
dalla costruzione della stazione ferroviaria della Transiberiana. Aprirono
negozi e fucine, frantoi e magazzini; la popolazione crebbe in fretta.
Dopo la rivoluzione non mancarono
i disordini nemmeno in questo fazzoletto di terra così lontano dai centri del
potere e del denaro. Un gruppo di contadini, allevatori e commercianti insorse,
con idee controrivoluzionarie, e accolsero le truppe del bianco Kolchak in
ritirata, unendosi a loro. Della tragica marcia nel ghiaccio siberiano e dei
cadaveri che rimasero congelati sul Bajakal fino al disgelo, quando le
profondità del lago li inghiottirono, parleremo a tempo debito.
Per ora basti dire che nel ’19 i
bolscevichi presero la città e fucilarono tutti i controrivoluzionari al muro
della stazione.
Inizia un nuovo periodo buio di
regressione; il paese si spopola e l’economia langue. Prima del ’43 compaiono
solo pochi e maldestri tentativi di avviare attività industriali (mattoni, trattori),
ma con la Seconda guerra mondiale vengono portate anche qui alcune industrie,
viene aperto un ospedale militare e si avvia una scuola per tiratori scelti,
oltre ad un orfanotrofio che accoglie 500 bambini in fuga da Leningrado. Kalachinsk
perde al fronte quasi 6000 uomini, più della metà di quanti eran partiti. Molti
sono gli eroi di guerra, ricordati nel monumento a loro dedicato.
Dopo la guerra sono sorte nuove
industrie, ed ora si tratta di un tranquillo paesino di campagna, con i suoi
negozi, i palazzoni, le vie polverose
Il museo del folklore locale
La chiesa (pare siano molti gli
ultraortodossi, qui. E ci sta: siamo in campagna. Con il vuoto lasciato dall’ateismo
di stato la chiesa ha riattecchito con vigore)
il monumento ai caduti
vie belle nonostante la pioggia
E la gostinitsa Voshkod Inn, dove
sono ora.
E’ un edificio che ospita uffici per due piani, un’azienda di grafica
pubblicitaria (con una volpe come simbolo)
e ha delle stanze all’ultimo piano. La vecchia della reception si
incazza molto con coloro che non parlano bene il russo come la sottoscritta, e
tiene brusche, brevi e infastidite lezioncine della sua bella lingua,
sillabando e scrivendo con rabbia alcune parole in una grafia traballante. Maledetta
vecchiaccia, ma lo sai che l’Urss è crollata, nel bene e nel male, e la lingua
internazionale è l’inglese? Santiddio che fastidio. Mi manca già la ragazza
dell’ostello di Omsk, che mi ha fatto un panegirico sulla genialità dei
braghetti da ciclista con il fondello imbottito: non li aveva mai visti ed è
rimasta meravigliata. Poi mi ha chiesto che lavoro io faccia. Quando ho
risposto “l’insegnante e la giornalista” ha ribattuto che lo sospettava. Ma in
che senso? Certo qui son due categorie viste mica troppo di buon occhio. Infatti
sono le uniche due professioni per le quali non viene rilasciato il visto business…
La megera di stasera, invece,
pensa che io abbia dei cromosomi di troppo solo perché il mio russo zoppica. E
ogni volta che transito con un vestito diverso (prima da bici, poi civile, poi
civile con k-way perché dopo il mio arrivo è calato il diluvio universale) non
mi riconosce, mi blocca sull’uscio e tenta di non farmi passare. Poi mi guarda
bene bene con attenzione e oplà, sun sempar mi.
Questa è una volpe russificata che celebra l'arrivo rosicchiando cetrioli crudi in poltrona
Dopo la super cena di oggi (ma se
una volpe di meno di 50kg mangia 1kg di carote, significa che poi è composta al
2% di detto ortaggio? E sopravvive, anche?)
mi preparo alla prossima tappa.
Lascerò l’oblast di Omsk per
addentrarmi in quella di Novosibirsk. La meta è Tatarsk. La distanza, lo
spazio, si mangeranno ancora un’ora di tempo, e sarò a +5 dall’Italia, che si
fa via via più piccola nella lontananza.
"Le piante...Un dio di linfa in un tempio di rami" Che immagine stupenda! Sila
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