Hua Hin-Prachuap Khiri Khan
110km
Quella di oggi è una tappa che parte un po' inquieta, con una lentezza forzata e una calma che è più apparente che reale. Gigi si sveglia determinato a pedalare, ma il suo corpo gli ricorda che 36 ore fa ha abbracciato forte un motorino in corsa. Quindi oscilla nella volontà, tra dubbi e timori, da un lato, e desiderio di farcela, di riuscire a tornare in sella, dall'altro. Io continuo a consigliargli di prendere un mezzo, almeno per oggi, e di riposarsi. Ma è grande abbastanza per decidere da sè, per se stesso, e non voglio nemmeno troppo interferire con i discorsi che sta facendo con la sua coscienza. A me sta bene tutto, e sono pronta ad aiutarlo e a organizzare la giornata per entrambi, sia che voglia pedalare, sia che decida diversamente. Andiamo a fare colazione in un minuscolo localino, in modo che possa pensare con un adeguato livello di zuccheri nel sangue. Tanto dobbiamo comunque attendere le 10, orario nel quale abbiamo appuntamento con il meccanico che sta riparando la bici di Gigi.
Via, pedala anche lui. Nonostante la mano gonfia che pare uno zampone e il ginocchio pesto, il piede enfio di liquidi e tutti i lividi, ha deciso. Quindi torniamo in albergo, chiudiamo le borse e carichiamo sia le mie (in modo ortodosso) sia le sue (appoggiate e tenute ferme manualmente) sulla mia bici. Spingendola, camminiamo fino al negozio di bici, e il paron ci vede arrivare e ci segna a dito ai due ragazzini che stanno lavorando alacremente sul velocipede zoppo. Hanno sostanzialmente finito. Stanno riavvitando il portapacchi anteriore. Ci fanno l'elenco dei danni riparati e di quelli irreparabili (almeno, da loro, e così in fretta). Il cerchione davanti è nuovo di zecca, quello dietro solo raddrizzato. Il portapacchi a forcella è storto e qualche braccetto si è spezzato, ma nell'insieme tiene. Un corno del manubrio è tutto storto e ripiegato all'indietro. Il cambio è completamente spanato. La catena cade di continuo e non si muove correttamente. Ma questo, purtroppo, lo scopriamo man mano, pedalando. Per il momento siamo felici così: tutto sommato, in qualche maniera, i pedali girano e le ruote avanzano. Ringraziamo con inchini a mani giunte e carichiamo tutti i fardelli, Gigi incluso. Pagare non si paga. Ci han pensato i ragazzini e la scuola.
Partiamo.
I primi kilometri, per uscire da Hua Hin, sono di ansietta. Gigi sente la bici storta e malfunzionante; io temo che lui, dopo poco, soffra per le contusioni e l'infiammazione diffusa peggiori. Ho anche paura, per un po', che i thailandesi, tutti, nell'insieme, come popolo e nazione, amino investire i ciclofarang, e acciaccarli. Tutte le sguerguenze che fanno, tutte le infrazioni al codice della strada, mi sembrano pericolosissime. Qui è normale, lo vediamo da un mese abbondante, e di norma sono attenti e non ci sono problemi. Ma adesso, ogni volta che vedo un motorino contromano (e sono tantissimi) nella corsia di emergenza o in ciclabile, mi sbraccio per segnalarmi. Mi prendono per pazza. Ma ho un po' di trauma da smaltire. In più continuo a dire a Gigi di stare in parte, di non andare in mezzo alla strada, di prestare attenzione agli incroci e agli svincoli. Mi rendo conto di essere pesante al limite del paranoico. Però è il mio modo di cercare di controllare la tensione. In ogni caso, va tutto bene. A parte la bici di Gigi, che è sbilenca al limite dell'utilizzabile.
Passiamo davanti alla stazione ferroviaria di Hua Hin, considerata la più bella di Thailandia. Risale al 1926 e vuole ricordare una casetta di pan di zenzero in stile vittoriano, con le sue colonne di legno intagliate e dipinte di bianco e rosso. Poichè ha portato prosperità alla città, gli abitanti ne vanno orgogliosi e la tengono curata a modino.
Per proseguire il nostro viaggio verso il sud della costa del Golfo del Siam, seguiamo la stradona 4, munita, anche qui, di pista ciclabile, che è pure attrezzata con servizi igienici e panchine ogni manciata di kilometri. Peccato sia usata soprattutto dai motociclisti!
Poi entriamo nella rigogliosa e splendida regione di Pranburi, sobborgo di campagna ormai diventato tranquilla meta costiera, con resort di lusso nascosti tra le palme e la spiaggia. Il nucleo della zona è costituito dalla cittadina di Pak Nam Pran (foce del fiume Pranburi), dove, nonostante tutto, l'economia ruota ancora intorno alla pesca, e non al turismo. Qui il souvenir più gettonato sono i calamari essiccati, amatissimi dai thailandesi. Ci sono poche spiagge degne di nota, ma numerose alture a picco sul mare e promontori rocciosi scolpiti dal vento. In quest'area si trovano anche diversi parchi nazionali e riserve forestali, stretti tra la linea costiera e il confine con il Myanmar, che dista solo una trentina di kilometri, a volte pure meno. A Kuiburi vivono branchi di elefanti selvatici e di gaur (bisonti indiani). Alla foce del fiume, invece, si trova una foresta di mangrovie con tutta la fauna di uccelli acquatici, granchi, varani, saltafango (i pesci che camminano) e anche gamberi pistola, di cui ho scoperto di recente l'esistenza. Sono bestiole minuscole, pochi centimetri, che, con una chela, sparano bolle d'aria per stordire le prede; ma lo fanno con una tale potenza che, fuor d'acqua si sente un rumore paragonabile all'esplosione di un colpo d'arma da fuoco. Ecco di cosa si trattava, i giorni scorsi! A volte pareva di esser tornati in Messico, nelle campagne del Jalisco, tra regolamenti di conti tra cartelli e scontri con l'esercito.
Tra guglie di roccia dalla forma sempre più curiosa e frastagliata, raggiungiamo il Parco Nazionale di Khao Sam Roi Yot, che significa appunto "Trecento picchi montuosi". I rilievi calcarei dal profilo seghettato celano grotte, spiagge e paludi costiere, ma pure tanti allevamenti privati di gamberetti che hanno soppiantato l'originaria foresta di mangrovie. Di animali ce ne sono a bizzeffe, tra avifauna varia, macachi, capricorni cinesi (capre schive) e langur dagli occhiali. Ci troviamo infatti in un punto in cui si intersecano le rotte migratorie dell'Asia orientale e dell'Australia e si possono ammirare oltre 300 tipi di uccelli migratori e residenti. Rido mezz'ora, ma alle lacrime, leggendo il serissimo elenco di specie che la guida riporta: tarabusino giallo, schiribilla pettorossiccio, canareccione orientale e soprattutto il POLLO SULTANO. Ma cos'è?! Muoio, fa veramente troppo ridere.
Arriviamo quindi alla deviazione per l'attrazione principale del parco, Tham Phraya Nakhon e Hat Laem Sala, grotta e tempio reale voluto da Rama V nel 1890. Pare sia molto bella, ma oggi non mi pare la giornata adatta per escursioni fuori traccia, con tanto di gradini e ripidi sentieri sconnessi. In realtà, oltretutto, il modo migliore per visitare il complesso è arrivando in barca alla spiaggia ai piedi del colle 8e magari approfittandone per avvistare tursiopi e focene nella Dolphin bay).
E in questi luoghi idilliaci, di pace assoluta, dove roccia e mare, acqua dolce e acqua salata di mescolano, possono forse mancare i macachi svergognati? E possono forse esimersi dal tentativo di aggredire Gigi, che sta tentando di fotografarli, per derubarlo di sacchetti vuoti, che loro immaginano colmi di leccornie? OVVIAMENTE NO!
Per fare una piccola sosta dobbiamo attendere più di 60km; qui non ci sono città e nemmeno paesi, solo case sparse e minuscoli villaggi di pescatori, oltre a resort che dalla strada nemmeno si intuiscono, non fosse per i cartelli. Poi finisce la zona delle aree protette e inizia quella della coltivazioni di palma da dattero e da cocco, nella cui ombra pascolano placidi zebubi.
Ci fermiamo in un localino che è la casa di una giovanissima coppia (non hanno vent'anni questi ragazzi) che, nel loro frigorifero, tengono bevande fresche da vendere ai passanti; il sole è feroce e alto, ma il vento, purtroppo contrario, muove un poco l'aria. Gigi si rende conto qui di quanto sia conciata male la sua bici. Basta un mezzo giro all'indietro dei pedali, e la catena cade. Il tutto provoca il suo disappunto e la preoccupazione del ragazzo. Qui, quando ci sono inconvenienti anche piccoli, è impossibile non attirare l'attenzione: tutti i presenti accorrono per aiutare, e smanettano, toccano, stanno addosso. Apprezzo la gentilezza e la cortesia, ma la cosa mi urta infinitamente. Oh, rega', se ho bisogno chiedo, altrimenti su de doss!
Dopo esserci riposati un attimo e aver rimesso manualmente a posto la catena di Gigi almeno tre volte (siamo pure tutti imbrattati di nero di lubrificante, oltrechè impanati di crema solare, polvere e insetti), ripartiamo. Si intravede qualche porticciolo alla foce dei torrenti, e i barchini sono sempre bellissimi di vernici sgargianti. Come i templi. Qui non hanno paura del colore. Della luce. Del rosso accesso, del verde e del blu vividi, dell'oro grasso, del rosa e del bianco che tutto accoglie.
Poi eccolo, il nostro monsone quotidiano. Arriva da est, dalla costa delle Andamane, e passa su questa sottile striscia di terra inondandola. Lo vediamo avvicinarsi. Portarsi via la luce. Annunciarsi con tuoni simili a terremoto e lampi che graffiano il cielo. Il vento si alza e impazzisce, fa mulinelli, poi si mette alle nostre spalle e ci spinge. Ma ci butta in pasto al diluvio che, come inevitabile, ci coglie in pieno.
Nel frattempo, per gli ultimi kilometri, abbiamo imboccato di nuovo lo stradone, il 4; troviamo rifugio sotto ad una pagodina con panche, con la tettoia larga precisa per lo scopo; abbiamo fatto in tempo a infradiciarci completamente, e ora fa freddo! Mi cambio, togliendo la maglia zuppa e indossando antipioggia e k-way, scaldacollo, berretto e cappuccio. La temperatura è scesa in modo così repentino che mi coglie un mal di testa prepotente, e ho i brividi. Aspettiamo che spiova. E' tardi, rischiamo di arrivare con il buio, ma in questo momento la visibilità è troppo ridotta per azzardarsi a pedalare.
Quando la violenza del temporale si placa, ci buttiamo in strada. La pioggia ci accompagna fino alla meta. Questi ultimi 20km sono faticosi. Comincio a essere stanca e le contusioni si fanno sentire. Non manca qualche collinetta imprevista da scavalcare. Il fortunale incombe. E' pieno di canetti aggressivi che inseguono in branco, con ferina determinazione. Vedo Gigi cotto dalla giornata, e dalla consapevolezza di pedalare su una bici che potrebbe tradirlo da un momento all'altro. Il buio sale come alta marea, implacabile, e la sera si avvicina e lambisce gli orli del cielo. Finalmente giunge la svolta verso Prachuap Khiri Khan, dove ci attende il Friday's guesthouse and cafè con camera affacciata al mare. Ho proprio voglia di arrivare, oggi. Questa sonnolenta cittadina di mare è l'alter ego tranquillo di Hua Hin. La baia, lambita da acque che, fuor di monsone, sono di un intenso turchese tropicale, è riparo per le imbarcazioni da pesca. Su tutto domina il profilo austero di montagne in pietra calcarea. I turisti (pochi stranieri, molti di Bangkok) la stanno scoprendo e preferendo a Hua Hin, ma ancora non è una meta particolarmente battuta -e snaturata. Ah, pure qui i macachi gironzolano indisturbati!
Il lungomare della baia, costellato di bancarelle, è diviso a metà dal lungo pontile in legno dei pescatori. Scogliere e promontori mi ricordano quelle di Vik, in Islanda. La pioggia è uguale, le temperature decisamente non lo sono.
Eccoci alfine alla guesthouse. Ci accoglie una gentile ragazza che ci fa mille domande sul viaggio, e ci dice che ha un amico ciclista che pedala anche 250km in un solo giorno... Ma in bici da corsa, scarica! Prendiamo possesso della stanza. che ha una vista mozzafiato, e ci occupiamo dei soliti riti dell'arrivo: stendere i vestiti bagnati, lavarci, organizzare la cena la tappa di domani. Ma con questa finestra e questo balcone tutto è poetico e meraviglioso. Il mare, è vero, cura. L'acqua salata, che siano lacrime, sudore, fluidi, sempre porta altrove.
Questa immagine, della finestra affacciata alla baia, del cielo che accoglie il primo buio, bluseta, e del mare che ne riflette i colori pastosi, densi, sulle tinte dell'azzurro cupo e del grigio abisso, mi ricorda una meravigliosa poesia di un autore a me caro:
"Notte, forse di me non hai bisogno;
dalla voragine dell’universo
io – conchiglia senza perle – sono
gettato sulla tua proda, riverso.
Con noncuranza fai schiumare i flutti
e riottosamente vai cantando,
ma la bugia d’una conchiglia inutile
ti sarà oggetto d’amore e di vanto.
Verrai a giacerle accanto sulla sabbia
e a ricoprirla della tua pianeta;
a renderla, verrai, inseparabile
dall’enorme campana degli abissi irrequieti;
e il vano della fragile conchiglia –
nido di un cuore ove nessuno alloggia –
ricolmerai di schiuma che bisbiglia,
ricolmerai di nebbia, vento e pioggia…"
Osip Ėmil’evič Mandel’štam
1911
(Traduzione di Remo Faccani)
dalla voragine dell’universo
io – conchiglia senza perle – sono
gettato sulla tua proda, riverso.
Con noncuranza fai schiumare i flutti
e riottosamente vai cantando,
ma la bugia d’una conchiglia inutile
ti sarà oggetto d’amore e di vanto.
Verrai a giacerle accanto sulla sabbia
e a ricoprirla della tua pianeta;
a renderla, verrai, inseparabile
dall’enorme campana degli abissi irrequieti;
e il vano della fragile conchiglia –
nido di un cuore ove nessuno alloggia –
ricolmerai di schiuma che bisbiglia,
ricolmerai di nebbia, vento e pioggia…"
Osip Ėmil’evič Mandel’štam
1911
(Traduzione di Remo Faccani)
Dopo un lauto pasto per festeggiare la ripartenza post incidente, prenoto per domani un "resort" che è un alloggio in famiglia sulla spiaggia a 100km da qui. Non ci sono paese e villaggio, solo la struttura, che offre anche la possibilità di cenare. Domani voglio rifare il bagno, e non per il monsone! Per la cronaca: qui sulla costa ci sono sistemazioni anche da diverse centinaia di euro a notte. un insulto al costo medio della vita dei thailandesi. Noi andiamo dove si pagano 9 euro a notte, e il ricavato va alla famiglia che ospita. Dopodomani, invece, a Chumphon, niente albergo: dormiremo in cuccetta (che poi son camerate tipo terza classe del Titanic) del traghetto in legno che di notte sferraglia fino a Ko Tao, dove si giunge alle prime luci dell'alba. E a questa immagine, che è misto di avventura ed esperienza godereccia, brindo con il mio bricchetto di succo di crisantemo e camomilla. Che è buonissimo!
5/8
Prachuap Khiri Khan-Bang Saphan
101km
Ore 8, suona la sveglia. Non troppo presto: oggi non abbiamo fretta di programmi e appuntamenti, visite e logistica. Ho passato molte ore della notte a leggere (e dalla faccia di intuisce che il mio caffè, stamattina, sarà almeno doppio).
Ho scoperto che Prachuap è uno dei sette punti della costa dove, l'8 dicembre 1941, le truppe giapponesi sbarcarono per invadere la Thailandia. La base aerea di Ao Manao fu teatro di cruenti combattimenti e i nipponici riuscirono a conquistare la città solo dopo che il governo thai ebbe ordinato ai suoi di deporre le armi, a seguito della firma dell'armistizio. Gli scontri portarono alla morte di 400 giapponesi e 41 thai, ricordati sia nei nomi delle vie, che richiamano la strenua difesa e il coraggio dei soldati, sia in un monumento sulla collina che chiude a sud la baia. Ci sono anche altri luoghi che commemorano gli eventi tra cui un museo nella base militare dell'aeronautica Wing 5... Che però si inerpica fino alla sommità di un colle la cui scalata è talmente pericolosa (a tratti bisogna issarsi con corde sospese) che è stata vietata, se non in occasioni specifiche e ricorrenze.
Dalle finestre filtra una luce inizialmente pallida e lattiginosa, poi sempre più vivida e accesa. I colori del cielo e del mare mutano di continuo, e ci godiamo la colazione in terrazzo, ammirando questo spettacolo antico e sempre nuovo che son le onde sulla battigia e i guizzi del sole nei riflessi argentei e salati d'acqua.
Con innumeri giri portiamo al pianterreno borse e bagagli, lungo ripide rampe di scale che ci fanno sudare anche la cresima. Si chiama Sud Est Asiatico perchè si SudAst. Cerchiamo di sistemare, nei limiti delle nostre competenze super basic di meccanica, il cambio di Gigi. Delle corone anteriori può usare solo quella grande, e appena i pedali accennano a girare all'indietro, la catena cade. I risultati delle nostre operazioni sono miserandi. Al che Gigi insiste perchè si vada subito da un meccanico, qui. A Prachuap ce ne sono parecchi, ma aprono tardi, in media alle 10, e poi sono officine alla buona, di abili smanettoni ma sprovvisti di pezzi di ricambio. Lui però si incaponisce, e, pur sapendo che sarà inutile o quasi, e ci farà perdere tempo per la tappa, lo accompagno in un negozio (chiuso), in un altro (chiuso anch'esso) e infine in un terzo, che è un parrucchiere per signore molto lercio, con le poltrone tutte arrugginite e la pelle crepata e bisunta. Però fuori ci sono delle bici pieghevoli in bella mostra... Mi affaccio, e la parrucchiera mi fa segno di accomodarmi fuori e aspettare, che chiama il ciclista. Ok! Gigi è restio, anche proprio lui, ieri sera, dalle foto di Maps, mi aveva detto che questo meccanico gli pareva in gamba. Mah. In ogni caso, dopo poco, il nostro uomo arriva. Gli spieghiamo i fattacci e il problema. Lui infila mascherina e guanti in lattice, come se fosse un chirurgo che si accinge a operare, si accende un ventilatore sottratto alla parrucchiera (che potrebbe essere la moglie) e inizia a trafficare. Scopre subito il busillis: con l'urto, sia le corone del cambio sia il pedale stesso si sono deformati, di poco, ma abbastanza da dare problemi. Andrebbe cambiato tutto, ma lui non ha quel pezzo di ricambio. Allora fa alla vecchia maniera, con le brutte, letteralmente a martellate. Appoggia le corone e la pedivella su uno sgabellino in legno, alto una spanna, su cui stava seduto prima, e ci dà di colpi come un Efesto, un fabbro ferraio. Io temo il peggio, ma devo dire che qualcosa si ottiene. Il pedale non tocca più la catena. Nella consapevolezza di poter usare solo la corona anteriore grande, registra il cambio al millimetro. Anche la pedalata all'indietro resta problematica, ma non quanto prima. Insomma, porello, qualcosa a martellate riesce a combinare. Ci mette un paio d'ore, tra tutto.
Per dove siamo ora, vien più comodo imboccare subito lo stradone, nel quale comunque saremmo entrati perchè, a tratti, è l'unica strada che corre lungo la costa. Pedaliamo svelti, con il vento a favore, in un lievissimo susseguirsi di saliscendi che, con l'aiuto di Eolo, quasi non si percepiscono. Qui si susseguono numerosi paesi e paesini, con i loro archi, i loro templi, i mercati e le foto del monarca e consorte e gli auguri di lunga vita al re.
A un certo punto, nel nostro rapido andare, sento Gigi dietro di me urlare. Oh no. Cosa è successo ora?! Mi giro e lo vedo sbandare, come se la bici fosse un cavallo imbizzarrito e indomabile. Per fortuna riesce a mantenere l'equilibrio e a non cadere. Il problema è la ruota anteriore, completamente a terra. Si è sgonfiata in frazioni di secondo. Sostituendo la camera d'aria, cosa che ormai facciamo in tempi record da pit stop di Formula 1, vediamo che lo squarcio è nella parte superiore della camera, quella protetta dalle forature; infatti nel copertone non si sentono nè spine nè graffe o chiodi o vetri. Mi accorgo che il cerchione nuovo, appena sostituito, non ha il nastro paranippli, e i fori dei raggi sono molto taglienti. E' stato quello. Cavo fuori dalle borse di Mary Volpins un nastro adesivo nastrato ad uso medico, sostanzialmente cerotto adesivo, e lo usiamo per un doppio giro intorno al nudo cerchio. Speriamo funzioni!
Ripartiamo in cerca di un distributore di benzina dove sia possibile gonfiare bene le gomme con il compressore. Dopo aver fatto il giro dei quattro cantoni, ed esser stati presi per pazzi (qui poche stazioni di servizio, a quanto pare, hanno la pompa per l'aria), veniamo soccorsi da un gommista e meccanico munito di compressore, che a gratis ci mette a disposizione, anzi, fa proprio lui il lavoro (e ci aiuta quando a Gigi cade la catena per l'ennesima volta. Ma quanto sono gentili e compassionevoli i thailandesi, in media?).
Dopo circa 60km volati, lasciamo lo stradone per deviare verso il mare, e imboccare le viuzze litoranee. Proprio alla svolta ci fermiamo per una piccola sosta, che diventa una lunga pausa causa monsone. Oggi non è violento, se non per solo qualche minuto, ma già che ci troviamo sotto ad una bella tettoia, perchè non approfittarne? Devo redarguire Gigi perchè, sovrappensiero, alla ricerca di un riparo migliore rispetto a quello ottimo e pubblico dove sono io, entra, tutto lercio e infangato, in casa di qualcuno, che semplicemente è aperta verso una veranda che affaccia alla strada, e appoggia la bici urfida al tavolo da pranzo. Magai vuole anche lasciarli uno stronzo col ricciolo come centrotavola, che ne so.
Spiove e noi torniamo in sella. I 40km di litoranea sono un fittissimo, spettacolare susseguirsi di piantagioni di palma da cocco e banani. Gli alberi sono fittissimi e formano una vera e propria foresta, e le foglie orlate si stagliano contro al cielo come un ricamo fine. Molti ragazzini dei villaggi, vedendoci passare, urlano saluti o "Farang! Farang!" per richiamarsi tra loro. Qualcuno ci raggiunge in motorino per il solo piacere di vederci da vicino, farci un sorrisone e gridare un hello che il vento si porta subito via.
Come vi anticipavo: TANTE palme. Tantissime, palmissime, palmissimissime.
Imbocchiamo, a un kilometro e mezzo dall'arrivo, una viuzza lastricata che porta verso la spiaggia, tra canetti che fan solo finta di inseguirci abbaiando e gli studenti che tornano a casa portati dai furgoncini-pullman delle scuole. Qua e là si intravede una casa nella vegetazione, e poi un ponte sul fiume, e lì un porticciolo di barche dai colori sgargianti. Ci siamo.
Siamo gli unici ospiti dell'Hudsoon resort, struttura un po' datata ma tenuta con grande cura da personale gnetilissimo. Le camere sono casette in muratura dotate di bagno, immacolate, pulitissime, impeccabili. Siamo noi gli zozzoni puzzolenti! Affacciano alla spiaggia, dotata qua e là di tavoli e sedie, ombrelloni, amache e dondoli. Ci sono anche edifici dove è possibile noleggiare attrezzatura per le immersioni e la pesca.
Via i vestiti da bici, su il costume, e senza nemmeno passare dal via sono già in spiaggia. Gigi preferisce lavarsi e riposare. Io non resisto al richiamo di queste acque tiepide e calme, e mi godo un bagno ristoratore. Galleggiare senza peso, con lo sguardo perso a questo cielo tropicale, azzurro a strappi, e chiaro di nuvole che corrono, è ciò che più mi risana il corpo dopo 3000km pedalati (chè tale è la cifra, e per difetto, da quando siamo partiti). La luce continua a mutare, in questi ultimi scampoli prima del vespro, e gioca con le nubi enormi, bianche, placide, che non portano pioggia. Si crea persino un arcobaleno, ad un certo punto, tanto caleidoscopica è la forma dei raggi del sole al tramonto rifratta nell'aria umida.
Dopo il bagno faccio una breve passeggiata verso il villaggio dei pescatori. Sono mare calmo a mia volta. Raccolgo conchiglie, mi accorgo che il corpo porta ancora i segni dell'incidente, ma sta guarendo. Il tempo, come le onde sulla battigia, porta via ciò che è di troppo, i fardelli, gli inutili pesi che per un viaggio del genere rallentano e basta. Proprio sul far del tramonto, che trasforma le palme in pizzi e ricami del teatro delle ombre, giungo alle capanne, e mi si fanno incontro alcuni cani, i famosi canotti che si trovano in spiaggia. Sono buoni e quasi spaventati dalla mia presenza. Quando si è appiedati, e non in sella, è sempre così.
Raggiungo Gigi, mentre le luci delle casette e del resort si accendono e l'acqua pare seta, morbida, palpabile e densa di un blu argenteo che riflette gli ultimi bagliori, a loro volta amplificati dal chiarore delle nuvole. Lavo me stessa, il costume e il bottino raccolto dalla spiaggia (le conchiglie portate a casa dalla Bassa California, Messico, ancora puteno!) e poi andiamo a cena al ristorante del resort. Anche qui siamo gli unici ospiti. Ci sono però le famiglie e i bambini del personale, e i mariti rientrati dalla giornata di pesca. C'è un clima di festa, di relax, ma una cosa piccola, intima, non urlata. Non per estranei. Ovviamente si mangia pesce: Gigi riso saltato con mix di frutti di mare, io riso bollito con verdure e gamberetti grossi come aragoste, freschissimi, incredibilmente saporiti. Per noi e per i local si accendono le luci di gala, e sembra di essere nel nostro sud, nei paesi, quando si celebra il santo. Mancano però le persone... E, onestamente, in questo contesto, è proprio il bello della cosa.
Tornati in camera prenoto il traghetto per domani, il notturno da pirati della Malesia, il barcone con i dormitori da tigri di Mompracem. Le isole siamesi, Koh Tao e Samui, ci attendono, domani.
6/8
Bang Saphan-Chumphon (porto fluviale, Pontaweesin pier)
97km
Sono le 22.30, la nave è salpata da mezz'ora e qui nel dormitorio Le luci sono spente. Si intravedono volti assonnati illuminati appena dalla luce fioca degli schermi. Farang, thai, malesi: tutti nella loro cuccetta ingannano la notte immensa e la sua sconfinata solitudine perdendosi nei social multiformi come Proteo. D'altronde stiamo navigando sul fiume fino alla sua foce, per poi affrontare il mare grande, con le sue insidie e le sue lusinghe. Le sirene si celano dietro ad ogni scoglio, figuriamoci su isole belle di fama e ventura come quelle dove ci stiamo dirigendo su legno tutt'altro che lieve. All'alba, forse anche prima, saranno le candide spiagge di Koh Tao ad accoglierci, ancora fresche della notte rugiada, notte corsa di granchi, notte placida di stelle che ridono risate sommesse e ammiccanti specchiandosi nelle onde.
Anche questa mattina tutto è cominciato dal mare. Dopo la colazione offerta dall'Hudsoon Resort, prima di partire, ci siamo regalati una passeggiata sulla battigia deserta, e un bagno nell'acqua già tiepida, color seta azzurra, color estate sui Tropici. Non so se è la stagione, la bassa marea, la presunta bassa pressione da monsone. Ma davvero non c'è nessuno. Solo due pescatori del vicino villaggio battono il fondale poco profondo con lunghi pali. Non so esattamente cosa stiano facendo, ma sono estremamente assorti. La spiaggia, più nuda di ieri, rivela un'infinità di conchiglie (molte abitate da paguri eremiti bernardi), resti di granchi e coralli. È il segno di quanta vita brulichi in queste acque apparentemente immobili e cristalline come una piscina. Qualche cane randagio già scorrazza sulla sabbia, ed è l'unica forma di movimento oltre a qualche membro dello staff del resort che, pigramente, finge di fare qualcosa. Ma siamo gli unici ospiti, c'è ben poco lavoro oggi da svolgere. E le amache sono terribilmente invitanti.
Con calma lasciamo questo paradiso di quiete e il suo porticciolo, attraverso foreste di palme e banani. Sembra proprio di essere nel Sud Est asiatico! È incredibile come qui il turismo ancora non sia giunto, se non in punta di piedi, nonostante una natura meravigliosa e invitante, e tutto sia rimasto abbastanza intatto.
Lo constatiamo seguendo la "scenic route", la strada costiera a bassa intensità di traffico, che corre parallela allo stradone. Passano pochissime auto, una ogni ora, e qualche motorino o baracchino carico di cocco fresco o fieno. Pochi sono i villaggi, e minuscoli, di quattro palafitte in legno e più polli che umani. Oggi la strada non corre affatto in piano, e il continuo saliscendi, sommato al feroce vento contrario, ci mette alla prova. Attraversiamo aree verdissime, coltivate con alberi della gomma (ogni tronco ferito piange la preziosa resina in appositi contenitori) e palme da cocco e dattero, banani e ancora palme. E per fortuna le piante offrono ombra: il sole è rovente e brucia la pelle, la azzanna e dilania. Non si tratta del caldo umido del nord, c'è vento che muove l'aria, ma il sole è alto in cielo, un occhio di fuoco impietoso.
moschea! |
Facciamo una prima sosta in un negozietto pieno di insetti e odore di spezie. Gigi non è in gran forma, perché teme che la sua bici acciaccata possa tradirlo da un momento all'altro. Già ha svuotato il portapacchi anteriore, mettendo la tenda sopra alle borse e dando a me una parte del bagaglio, da legare alla buona con gli elastici. Ma non si sente sicuro in sella, e quindi si stanca in fretta.
Riprendiamo. Le colline boscose lasciano intravedere il mare solo a tratti. Si prosegue con discreta fatica, Eolo ci spintona, le rampette assolate ci piegano la schiena. Ma non si spezza!
Altra sosta, al km 60, in negozietto ancora più sordido dove la nostra presenza desta grande curiosità. In assenza di qualcosa di riconoscibile, prendo quel che sembra pesce essiccato e piccante. Non so cosa io abbia mangiato: era morbido, quasi spugnoso, umido e dolciastro. Con un vaghissimo sentore di pesce, ma pesce di quelli dei fondali fangosi. Insomma, non ho idea di cosa io abbia mangiato, e va bene così.
Ripartiamo. I kilometri sembrano non passare mai. Pare voglia piovere, ma poi no, dopo poche goccioline tiepide il cielo torna azzurro. Tra qualche piccola moschea e pure pochi templi, e tante colline verdi e una strada lunga lunga, arriviamo finalmente a Chumphon. Il traghetto dovrebbe partire alle 21. Sono le 17. Possiamo non andare subito al molo e passare dal centro. Decido di fare un salto nel luogo fisico che ospita l'agenzia/ostello/bar sul cui sito ho acquistato ieri i biglietti del traghetto. Così possono darci ulteriori delucidazioni per l'imbarco e magari anche venderci i biglietti per i prossimi traghetti: quello da Koh Tao a Koh Samui e quello da lì a Donsak, fuori Surat Thani, di nuovo sulla terraferma. Arriviamo sul posto dopo un dedalo di traffico e mercati, bancarelle, street food, baracchini su ruote e a pedali, clacson, cani randagi e anime sperse, venditori di cose e nuvole di fritto e peperoncino. Chumphon non ha molto da offrire a livello turistico, ma è un'esperienza immersiva di thailandesità. Il gentile signore dell'agenzia/ostello ci dà tutte le indicazioni necessarie sia per stasera, sia per gli altri traghetti. Ma l'acquisto dei biglietti si può fare esclusivamente online. Bene: abbiamo tempo, ora, e ora lo facciamo. Gigi fa un salto in farmacia a recuperare un nuovo tubo di Voltaren gel, ché uno è andato in tre giorni, e poi ci piazziamo in un 7-Eleven con tavolini all'interno, proprio con vista sulle bici appoggiate al muro (che comunque leghiamo, si sa mai). Davanti a noi alcune bancarelle di spiedini e pesce fritto cuociono e spadellano alacremente noi vediamo il "retro", e i contenitori in cui viene sciacquata la carne, e i secchi in cui viene tenuta. Mhhhh. Buono sarà buono, ma non mi sono ancora ammalata come mio solito e vorrei proprio evitare! Quella che dovrebbe essere una sosta merenda, diventa una lunga pausa che comprende anche la cena. Mi servono infatti due ore per venire a capo della questione traghetti e acquistare i biglietti.
il reperto di oggi è una paperella! |
Dunque. Stanotte partiamo dal molo Pontaweesin, sul fiume, e arriviamo in 6 ore a Koh Tao, dove c'è un solo porto. Stiamo tutta la mattina e il primo pomeriggio sulla piccola isola, a esplorare i bei fondali di pesci colorati e barriere coralline. Alle 15.30 ripartiamo con un traghetto veloce (catamarano della Lomphraya) per Koh Samui. La traversata dura 2 ore. Alle 17.30 arriviamo al porto a nord dell'isola. Pedaliamo 13km, verso Nakon, sul lato occidentale, dove ho prenotato l'albergo in riva al mare, per due notti, con affaccio sul tramonto. Venerdì mattina, dopo una giornata intera di pausa a Koh Samui, ripartiamo dal porto qui accanto all'hotel con un traghetto veloce ma che porta le auto, della Raja. Il biglietto è valido per tutto il giorno. Penso che partiremo alle 8 o alle 9 del mattino. Per raggiungere la terraferma ci vuole un'ora e mezza. Da lì riprenderemo a pedalare. Per capirci sui prezzi: il notturno con posto letto costa 500baht a testa + 100 per le bici. Il catamarano veloce 700 baht (per le bici non siamo certi quanto sia il sovrapprezzo). Il diurno per tornare sulla penisola costa 180baht. Tutto il giro delle isole, in breve, si risolve con meno di 40 euro (3 traghetti per noi e le bici, di cui uno con cuccia e uno veloce fighetto). Gli hotel a Koh Samui sono tendenzialmente costosi o molto costosi per gli standard thai. Ma ne trovo uno proprio sulla spiaggia, lato tramonti pirotecnici, a due passi dal molo della ripartenza, a 600baht a notte (15 euro) per una doppia con bagno privato. Quindi non serve avere il portafoglio a fisarmonica per viaggiare da queste parti, detour compresi. Soddisfatta di tutta la logistica egregiamente risolta, e a pancia piena, dico a Gigi che è ora di raggiungere il molo al fiume. Luci, gilet antivento e via, nel buio tiepido delle strade di Chumphon. Il traffico è quasi nullo e si pedala con tranquillità. Non azzecco subito il porto giusto (qui sul fiume c'è un attracco con pontile ogni 10 metri, e tutti sono bui, loschi, silenziosi e poco segnalati.
Dopo vari zig zag nel buio tra cani mordaci e gentili locals che ci danno indicazioni, raggiungiamo il giusto luogo di imbarco. Il traghetto è già qui, ma stanno scaricando. Facciamo check in a un banco informazioni dove due laconiche lupesse di mare ci assegnano i posti letto nel dormitorio. E facciamo persino la doccia nel bagno pubblico, cambiandoci e preparandoci per questa lunga breve notte. Qualcuno arriva, ma i passeggeri sono ben pochi. Un camion cisterna, un carico di bevande e cibo, cassoni di durian pestilenziale, cocchi freschi, qualche motorino e si parte, dopo che alcuni marinai hanno sistemato le bici in un angolo sicuro. Per salire sul ponte ci si deve letteralmente arrampicare sui cassoni e su una balaustra. Non ci sono scale. Quelle compaiono poi, ripide, quasi a pioli, per salire al dormitorio. Qui un uomo controlla i nostri posti, ci fa togliere le scarpe e ci assegna le cuccette. Sono materassi (comodi) su letti a castello in nudo metallo. Il cuscino è già al suo posto. La coperta ci viene consegnata a mano. Profuma di pulito buono. Tutto, invero, è molto ben curato e pare igienicamente impeccabile. Anche perché c'è una temperatura da sala operatoria antisettica, con i condizionatori che pompano a tutta forza. Non ci sono, come dicevo, molti passeggeri. Di farang solo altri tre: backpackers australiani dalla dura scorza. E ora dormono tutti, cullati dalle onde. Ora anche io, per qualche ora, mi lascerò avvolgere dal sonno neronotte, neroabisso, per poi ritrovare l'alba domani sull'isola.
Con te partirò,su navi per mari che io lo so.....nanananana ....
RispondiEliminaORA VEDREMO LA VOLPE DELLA MALESIA!
Tutto acciaccato,con la bici sgangherata,Gigi ha proseguito,qui ci vorrebbe un applauso di un' ora.
RispondiEliminaAl Cairo non lo sanno che ore sono adesso
RispondiEliminaE il sole sulla Rambla oggi non è lo stesso
In Francia c'è un concerto
la gente si diverte
Qualcuno canta forte
Qualcuno grida morte
A Londra piove sempre ma oggi non fa male
il cielo non fa sconti neanche a un funerale
A Nizza il mare è rosso di fuochi e di vergogna
di gente sull'asfalto e sangue nella fognaE questo corpo enorme che noi chiamiamo Terra
Ferito nei suoi organi dall'Asia all'Inghilterra
galassie di persone disperse nello spazio
ma quello più importante è lo spazio di un abbraccio
di madri senza figli, di figli senza padri
di volti illuminati come muri senza quadri
minuti di silenzio spezzati da una voce
Non mi avete fatto niente
Non mi avete fatto niente
Non mi avete tolto niente
Questa è la mia vita che va avanti
oltre tutto, oltre la gente
Non mi avete fatto niente
Non avete avuto niente
Perché tutto va oltre Le vostre inutili guerre
C'è chi si fa la croce
e chi prega sui tappeti
le chiese e le moschee
L'Imam e tutti i preti
ingressi separati della stessa casa
...e il MONDAni si rialza col sorriso di un bambino!
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