venerdì 9 agosto 2024

40-42. Pedalare, nuotare, dolce far niente nei paradisi tropicali di Ko Tao e Ko Samui. La Malesia si avvicina.











7/8
Chumphon-Koh Tao-Koh Samui
12km pedalati, molti camminati, i più coperti con due traghetti

La notte è breve, brevissima. Scrivo un poco, vedo Gigi addormentarsi, gli altri passeggeri, pirati, sirene e marinai, crollare uno dopo l'altro pur nel gelo che il condizionatore crea. Ogni volta che esco sul ponte fa talmente caldo-umido che gli occhiali mi si appannano completamente. Il bagno del traghetto notturno è un'esperienza interessante: è una tazza, con il solito secchio d'acqua con secchiello triste che ci galleggia dentro, per sopperire allo sciacquone. Ma questo bagno è usato da quasi soli uomini, mezzi addormentati, e per di più con l'equilibrio precario dovuto ai movimenti della barca. E quasi tutti ci entrano a piedi nudi, o con i soli calzini. Nella guazza. Oh no! Poi mi addormento anche io, di un sonno nero pece. Mi sveglia Gigi, è ancora buio. Vedo che alcuni passeggeri ancora dormono, avvoltolati nelle coperte profumate di pulito. Altri invece si affrettano a uscire dal dormitorio. Recupero telefoni e power-bank lasciati in carica (qui ci si può fidare, i thai non rubano) e, connettendo tutti gli spinotti del serbello in tempi record, mi preparo a sbarcare. Le operazioni richiedono qualche momento, che attendiamo in coperta, nell'odore prepotente del durian (ne portano quintali sull'isola). Sbarcano i camion cisterna, i furgoni, e poi noi, tutti storditi dalle luci dei fari puntate addosso nel buio denso che precede l'alba. Troviamo riparo dal via vai del molo su un muro del porto. E' tutto chiuso, non ci sono nemmeno le insegne accese, i negozi hanno le serrande abbassate. Sono, in effetti, le 4.30 del mattino. Dopo aver sistemato le bici, i bagagli e noi stessi, ci sistemiamo davanti ad un 7-Eleven dove i furgoni appena giunti con il nostro traghetto stanno scaricando casse di merce. Ci prendiamo un caffè, poi un altro caffè, poi un tè. Intanto io scrivo la tappa di ieri, con il pc appoggiato a un gradino ed io seduta su quello più in basso. Sono l'incarnazione del nomadismo digitale in senso stretto, altrochè. Nel frattempo Gigi armeggia con la sua bici: in traghetto ha guardato un po' di video tutorial ed ora sta mettendo in pratica ciò che ha imparato. E' ancora spaventato dall'incidente e la bici zoppa non lo aiuta a sentirsi sicuro in sella. 







Il sole sorge alle nostre spalle, e, prima di mostrarsi in volto, rischiara il cielo, che arrossisce. Eos dita di rosa sfiora le nubi e le acqua, la spuma, la spiaggia. E' uno spettacolo commuovente. Quando c'è abbastanza chiarore per vedere bene il fondo stradale, ci spostiamo dal porto verso una vicina spiaggia, a circa un paio di kilometri da dove siamo sbarcati, e dove ci ri-imbarcheremo questo pomeriggio alle 15.30 alla volta di Koh Samui. Il sole è ancora basso dietro alle colline che occupano il centro di Tao (arrivano a superare di poco i 350m, ma sono coperte di fitta foresta e paiono monti monti più imponenti) e il mare e le baie risultano in ombra. In giro non anima viva, nemmeno i cani randagi, che dormono ancora, arrotolati a ciambella con la coda.




Per raggiungere la spiaggia prescelta (Saireen Beach) preferiamo camminare. Qui a Tao le strade sono ancora in fase di pavimentazione, e buche, crepacci e fossi pieni di sabbia fine si susseguono in mezzo ai lastroni sconnessi. Per non parlare di salite e discese brevissime ma ripidissime che compaiono a buffo dietro ogni angolo. Però si respira un'aria incredibile, un mix di relax vacanziero, per i localini e le insegne che promettono manicaretti di pesce, massaggi o yoga in riva al mare, e avventura, con tutte le agenzie che organizzano immersioni, con e senza bombole, e la giungla che si intravede appena le abitazioni concedono un poco di spazio.










Koh Tao, con i suoi 2032 abitanti, è la sorella minore nel trio Samui-Pha Ngan-Tao, è la più piccola per dimensioni, ma sotto tanti altri aspetti sta crescendo velocemente. Richiama un numero sempre maggiore di visitatori, con un panorama ricettivo sempre più raffinato; ma, per ora, questa minuscola isola ammantata di giungla, offre ancora l'atmosfera vibrante di Samui, mescolata alla natura più pacata e fricchettona di Pha Ngan. Rispetto alle altre due Ko, Tao ha una carta vincente: siti di immersione facilmente raggiungibili direttamente dalla costa. Gli appassionati possono volteggiare con squali e razze, in un meraviglioso groviglio di coralli fluorescenti. Diciamo che qui tutti possono trovare quel che cercano: escursionisti e amanti della solitudine possono ricreare un episodio di Lost negli umidi tratti della foresta costiera, alla Robinson Crusoe; divers e wannabe palombari hanno solo da scegliere in quale tratto della barriera immergersi; goderecci esperti degustatori di cocktails e festaioli da beach party da struscio hanno di che brindare e ballare, anche se qui c'è meno casino che sulle altre isole.






Noi ci piazziamo all'inizio di Saireen beach, dove ci sono un gazebo di foglie di palma e bamboo con amache, un monumento, panchine e zone d'ombra, l'accesso alla spiaggia kilometrica di sabbia e pure una piccola baia di scogli, che protegge uno specchio d'acqua così chiara e limpida da sembrare una piscina. Insomma, è il luogo perfetto dove piantare metaforicamente le tende, dove essere cittadini del mondo, barboneggiare in tutta tranquillità e agio. Abbiamo la casa sulle bici, e per cortile questo paradiso. Mi sembra di essere qui da mille anni, invece sono passate neanche tre ore dallo sbarco. Infatti la costa è ancora deserta e pure tutte le barche in rada dei pescatori sono alla fonda.





Mentre Gigi si sistema sulle amache, io mi godo una lunga lunga passeggiata a piedi nulla sulla battigia. Pian piano il sole fa capolino da dietro le colline, e colora di azzurro e di blu il paesaggio. Le ombre orlate delle foglie di palma si proiettano sull'oro fino della sabbia, e iniziano a vedersi i primi runners, tutti farang, che sudano sulla spiaggia, prima che le temperature diventino proibitive.





Con grandissima calma, godendomi ogni passo nell'acqua tiepida, percependo chiaramente la sensazione della sabbia morbida sotto alle piante dei piedi, e la brezza sul viso, torno alla base, dove Gigi si è sistemato come un sirenetto poco incline alla vita da mare. Ma apprezza il paesaggio, e forse, forse, azzarderà di bagnarsi i piedi. Ho già detto che non ama l'acqua, vero? Per me viene invece il momento di infilarmi il costume e fare il primo bagnetto.










L'esperienza di un tuffo in queste acque è indescrivibile. L'acqua, per le prime decine di metri da riva, resta bassissima e di sabbia bianca e ondulata dalle correnti come quella di un giardino zen. Poi, dove pure da fuori si intravede un fondale più scuro, magia! La barriera corallina. Coloratissima, multiforme, popolata di pesci blu elettrico, verde acido, gialli, striati rossi e bianchi, e mica piccoli! No, no, alcuni grossi la metà di me, che paiono cernie, nella forma, ma sono dei colori più incredibili. Cose del genere le ho viste soltanto nei documentari e nelle foto subacquee dei viaggio dei miei genitori (che sono stati anche qui a fare immersioni, una vita fa, letteralmente: prima che nascessi io). Ho nuotato in un mare tropicale anche in Messico. Ma lì non era così tutto colorato, e vicino, e facile da raggiungere. Qui, nella prima spiaggia libera che abbiamo trovato, a pochi passa dalla riva, SBAM! Un mondo sommerso che pare un trip di acidi, ma molto, molto più bello. Torno più volte in acqua, sempre incredula. Ma avrò visto bene? Ma veramente c'è tutta quella roba qui sotto, avanti pochi metri da dove Gigi pisolicchia sull'amaca? Tra un tuffo e l'altro esploro anche un po' i dintorni, che man mano, si popolano di una umanità varia, composta per lo più da farang un po' fricchettoni, un po' lupi di mare. I locals sembrano tutti impiegati nel settore del turismo. Alcuni guardano incuriositi le bici, altri ci fanno domande sul viaggio. Ma qui nulla stupisce, nulla è nuovo: siamo su un'isola che è un porto di passaggio, da queste parti è transitato di tutto.










Tra un bagno e l'altro (riesco anche a convincere Gigi a mettere i piedi in acqua! Egli, detto tra parentesi, non ha nemmeno portato un costume da bagno. In Thailandia. Per dire come sia interessato al mare), uno spenzolo dall'amaca e una passeggiatina, mi metto di buona lena a preparare tutte le tappe che mancano fino alla fine del viaggio. Sono circa 1400km, con due confini di stato da attraversare. Il 12 agosto, a metà giornata, entreremo in Malesia. In una data compresa tra il 25 (se non ci sono imprevisti) e il 28 (se dobbiamo rallentare o allungare la strada) a Singapore. Abbiamo qualche giorno di margine da giocarci, ancora, e questo mi solleva molto. Il passaggio ai confini un po' meno, ma ho letto molte informazioni riguardo all'ingresso in Malesia e pare sia tutto molto tranquillo e veloce. Lo scopriremo tra poco, comunque. Viene, tra l'altro, il momento di rimetterci in sesto per tornare al posto di Tao e imbarcarci verso Samui. L'unica opzione per questa tratta è il catamarano ad alta velocità della Lomphraya, che fa sosta a Pha Ngan e poi giunge a Samui, tutto in due ore di navigazione. Abbiamo un fondo di timore che facciano storie per il trasporto bici. Sul sito c'è scritto tutto e il contrario di tutto, bici sì, bici no, bici forse. Pare comunque che, da dicembre 2023, trasportino anche quelle non pieghevoli. Poi i thai non mi sembrano persone fissate con le regole scomode. Un modo si trova.



Dopo aver salutato la nostra casetta-gazebo con vista spiaggia, raggiungiamo il molo di imbarco, che è gremito di passeggeri. Lo staff che deve dare indicazioni ai farang rincoglioniti, ed evitare che si imbarchino per lontane terre e i paesi di domani, è esaurito dallo stress. Continuano ad arrivare traghetti stracolmi e altrettanti ne partono. Il pontile è stretto, ci sono lavori in corso e il caos è devastante. Bambini spersi, gente che inciampa, turisti che si cadono addosso perchè non staccano gli occhi dal telefono... Però deve essere la norma. Quando si fa check in si viene muniti di adesivo colorato che indica la destinazione, in modo che lo staff possa subito capire se si sta salendo sull'imbarcazione giusta oppure no. Noi svolgiamo tutto le operazioni di rito in fretta, paghiamo i 500 baht per le bici (che sollievo, nessun problema per il trasporto! Alla cassa c'è una donna trans gentilissima che fa la civettina con tutti i bei ragazzoni abbronzati e biondi che le passano davanti) e ci godiamo un caffè freddo in un bar che affaccia sul porto, con vista sulle bici.






Con venti minuti di ritardo, che visto il casino di andirivieni è pure poco, ci imbarchiamo. Le bici sul ponte, noi sui sedili comodi del locale climatizzato, con tanto di bar e bevande gratuite. Mi devo sorbire tutta la conversazione dei ragazzi seduti dietro di noi: coppia di italiani che parlano un inglese triste con tipa russa che vive a Samui da 15 anni e insegna pilates, ma ora si sta per trasferire a Pittsburgh per studiare economia. L'italiana le dice che è meglio in Bocconi. Io penso che questa sia giusto esperta di bocconi con l'h e una consonante diversa. Poi crollo in un sonno improvviso che nemmeno si preannuncia, mi porta via e basta.




Lo sbarco fila liscissimo; le nostre bici sono già state scaricate e ci attendono sul pontile. Noi siamo vestiti civili, e per pedalare i 12km tra il porto di arrivo (a nord) e quello da cui ripartiremo dopodomani (a est) ci limitiamo a indossare il casco e accendere le luci. Ho letto che a Samui ci sono un sacco di pericoli sulla strada: turisti incapaci in sella a scooter noleggiati. Strade con sabbia. Cani rabbiosi e aggressivi. Acquazzoni che rendono scivoloso l'asfalto. Insomma la Thailandia in cui pedaliamo da 40 giorni, all'ennesima potenza.



I 12km si fanno sentire tutti: intorno al porto c'è un gran traffico. Le stradine, prima di raggiungere quella principale che costeggia ad anello l'intera isola, sono sconnesse e temo per l'incolumità della bici di Gigi. E poi tutto il resto: i turisti sui motorini, i locals dalla guida sportiva, i cani. C'è pure una salita. L'unica, circa 70m di dislivello su unica rampa breve e verticale. La facciamo a piedi, spingendo le bici. Io sono così stanca, per il sonno e il poco cibo (oggi non ho mangiato, praticamente) che a malapena riesco a seguire le indicazioni del navigatore. Ma sul mare si sta preparando uno spettacolo incredibile, un tramonto pirotecnico con i fiocchi.



Riusciamo a goderne gli ultimi bagliori di fuoco proprio davanti alla guesthouse. Tutta la stanchezza del viaggio, del traghetto notturno, dei kilometri percorsi, tutto il peso, tutto scompare. Rimane il rumore della risacca, nell'ultima luce che si arrende alla sera sul mare di bronzo. Si accendono le luci sul lungo pontile da cui ripartiremo, ma non oggi, e nemmeno domani. E' ora di restare, fermi, per qualche ora.
Inizialmente non trovo l'hotel, che costa poco e si vede poco, ma affaccia direttamente alla spiaggia e si trova nel centro di Nathon, l'unica città vera e proprio, la cosiddetta "capitale" di Samui. A condurci alla camera è un omino che staziona nei pressi della guesthouse, ed è una sorta di tuttofare: se ti serve un taxi, te lo chiama. Se vuoi noleggiare un motorino, te lo noleggia. Se vuoi un massaggio, ti porta dalle due donnone che ti accartocciano e stirano come pasta fresca nel centro qui accanto; se hai fame, ti consiglia un paio di ristoranti. Se cerchi il Sri Samui, fa una telefonata alla receptionist che lavora da remoto, chiede conferma della prenotazione, e ti conduce alla stanza. Le chiavi sono già nella serratura. Qui sull'isola funziona tutto un po' così: ci si conosce, si ha il numero dei vicini, ci si aiuta, si collabora, si fa rete. E' una cosa bella.



Dopo una doccia necessaria, viene l'altrettanto necessaria cena. E' un po' tardi per gli standard di qui (i ristoranti chiudono per lo più alle 20 o alle 21) ed io non ho le forze per camminare a lungo. Ci buttiamo al Panda, ristorante sino-thai bello unto ed economico come piace a noi, frequentato solo da gente del posto. Convinco Gigi, dopo quasi un mese e mezzo in Thailandia, ad assaggiare il pad thai, che è il piatto nazionale, come per noi la pizza o gli spaghetti al pomodoro. Lo prendiamo con gamberi freschi, verdure e anacardi sbriciolati, come usa qui al sud. Apprezza molto e si pente di non avermi ascoltata prima. Poi lui va di omelette ripiena di carne e verdure, io di curry verde in latte di cocco con gamberi. E' buono, fresco per le erbe aromatiche, e al contempo piccante come l'inferno. Ho letto che più si scende, più si abbonda con il peperoncino e simili. In effetti! Concludiamo poi con una spesona di frutta, e la sciura della bancarella ci dà il resto in rambutan, un frutto dalla buccia rossa con peli lunghi diversi centimetri, che pare un riccio di mare fuori, e dentro una specie di litchyee. E così si chiude la giornata, sazi e soddisfatti.




ma quanto è bello il dragon fruit rosso?


8/8
Koh Samui

Se il buongiorno si vede dal mattino, questo lo è di certo. Usciamo dalla guesthouse tra i mille sorrisi della signora delle pulizie, e ci dirigiamo verso un baretto per fare colazione. Davanti a noi, appena fuori dal cortile, questo spettacolo incredibile.




Colazione con vista in un posto per farang viziati: Gigi prende un cappuccino e una treccia al cioccolato, io un salted caramel latte così buono che ne berrei dodici. Noto ancora una volta che qui i prodotti di pasticceria e da forno sono considerati bene di lusso, roba per turisti del primo mondo. E parlo di croissant, ciambelle e muffin, non preparazioni ricercate. Dirò di più: il pane fresco è equiparato ai prodotti dolciari, e le pagnotte (normali pani, con o senza semini vari) vengono vendute come torte o pasticcini. Il riso invece abbonda sulla bocca dei thai, e al mattino se ne trovano ciotole piene lasciate in terra per i cani randagi.




Torniamo in hotel e recuperiamo la bici di Gigi per un disperato tentativo: qui a Nathon c'è l'unico meccanico ciclista di Koh Samui. E ha il negozio a tre minuti a piedi da dove abbiamo l'alloggio. Tentar non nuoce. Immagino non abbia i pezzi di ricambio adatti, in fondo siamo su un'isolina isolata... Ma tanto oggi non abbiamo molto da fare, e il velocipede necessita sicuramente di attenzioni. Abbiamo ancora tanti kilometri da pedalare... Intanto abbiamo la possibilità di apprezzare, con la breve passeggiata, le antiche shophouse in legno del centro storico della città (gestite da cinesi fin dall'alba dei tempi). Qui da sempre si trovano gli unici negozi un po' forniti, per il resto i 62.000 abitanti di Samui sono in villaggi o oasi-resort per turisti. 


Senza grande ottimismo raggiungiamo il negozio di bici ma, appena ci mettiamo piede, dobbiamo ricrederci. Ci sono tante bici anche di marchi noti (Specialized, per esempio) e appesi in giro pezzi di ricambio Shimano. Comprese pedivelle e corone e deragliatori proprio come servono a Gigi. Ma vuoi vedere che... Compare il proprietario. Gli spieghiamo tutto e lui dice che sì, ha i pezzi che servono, e che può farci tutto entro sera (anche perchè noi domattina dobbiamo imbarcarci alle 9, e lui apre alle 9.30). Dice pure che può dare una controllata generale a tutto, già che c'è. Non ce lo facciamo ripetere due volte! Lasciamo la bici nelle sue mani, e, con un sospiro di sollievo, torniamo in guesthouse e ci prepariamo alla giornata in spiaggia.




altarino cinese accanto alla cassa, giustamente

Per un'ora e mezza camminiamo sulla lunghissima, infinita striscia di sabbia orlata di palme ombrose, verso sud, il mare cristallino e turchese tropicale sempre a destra, foresta fitta e franare di cocchi a sinistra. Nel frattempo, raccolgo conchiglie. Tante. Gigi dice troppe. A casa le peserò, per farmi un'idea del peso che si è andato ad aggiungere in questi ultimi giorni lungomare. Sembra di trovarsi in una cartolina, in un depliant di agenzie di viaggio. E poi anche qui non c'è anima viva, se non due donne armate di ombrello e cucchiaio, che rovistano sotto alla sabbia raccogliendo molluschi. Tutto questo paradiso solo per noi. Incredibile. Pura meraviglia.



cimitero cinese, anche questo sulla spiaggia




un relitto


Gigi che impavido affronta le acque tumultuose, dopo aver sostenuto che erano troppo alte (una spanna) per passare, in un tratto sprovvisto di spiaggia 








Dopo la lunga passeggiata facciamo un detour verso l'interno alla ricerca di acqua (le spiagge non sono attrezzate, e appena fuori città non ci sono negozi o baracchini, solo templi, palafitte, capanne, scuoline, villaggi fatiscenti pieni di polli e cani rognosi e resort blindati), che ci viene regalata da un turista che ci vede in difficoltà e ci caccia in mano un contenitore del latte da due litri, stile detersivo, riempito con acqua fresca. Poi torniamo in spiaggia, e via di bagni. Qui la barriera è meno colorata, ma i coralli più grandi. Enormi, E la varietà di pesci, questi sì coloratissimi, è incredibile e toglie il fiato. Non ne ho mai abbastanza. Esco, mi asciugo in un attimo, rientro, riesco, rientro. L'acqua è calda. Gigi mi vede così entusiasta e calamitata al mare che decide di entrare a sua volta. Il fondale rimane bassissimo per decine di metri; ci sediamo nell'acqua, a me arriva a malapena alle spalle. Lui si tiene la maglietta, io no. Infatti, crema solare nonostante, sono qui ora, a sera, mentre scrivo, tutta ustionata e rossa gamberone.






Viene l'ora, purtroppo, di lasciare la spiaggia e tornare pian piano in città, a ritirare la bici. Passiamo per alcuni minuscoli villaggi nascosti nella vegetazione, dove i cani randagi ci fanno chiaramente capire che non siamo i benvenuti. Ci sono templi, altari e alberi sacri. 




La città ci riaccoglie con i suoi varani e la bancarelle dove ad ogni ora si frigge e si griglia carnazza, pesce, salsiccia, il tutto nell'odore di olio e peperoncino che contraddistingue i mercati di street food. Noi ci prendiamo un gelato, poi ritiriamo la bici, che pare nuova di pacca; il brav'uomo ha cambiato tutto: pedivelle, corone anteriori, catena, deragliatore e filo del cambio. Ha registrato, tirato cavi, sistemato e oliato ogni singolo componente. Il tutto in poche ore. Per 90 euro complessivi di spesa. Roba che in Italia ne veniva a costare 500 -minimo. Insomma, oggi sì che è una giornata propizia! Approfittiamo delle numerose lavanderie a gettoni per una lavatrice al volo, soprattutto per i costumi e il telo in microfibra usato in spiaggia, che sa di naufragio e scoglio algoso esposto al sole. 





Mentre i panni girano in asciugatrice, attraversiamo la strada per ammirare il grandioso spettacolo del tramonto. Non ha bisogno di parole, di descrizioni: è autopoietico e sa celebrarsi da sè, in silenzio.







Dopo questo incredibile momento eterno, il grano d'oro nella clessidra, il frammento da cui rinasce l'universo, come ne La storia infinita, spunta la luna, e il tempo riprende il suo corso. Noi pure. Ritiriamo i panni lavati e asciutti, prepariamo le borse, prenoto l'albergo per domani a Nakhon Si Thammarat, controllo i biglietti del traghetto, lavo le conchiglie e cerco il ristorante per stasera.


Andiamo a Lucky per questa ultima cena a Samui, prima di tornare sulla terraferma. Il proprietario è un inglese di Liverpool, che si presenta con la sua formula "England first" e chiede a tutti i farang da dove vengano, alla ricerca di connazionali. Sta con una thai, e hanno un gatto che gironzola tra i tavoli vista mare. I cuochi, specializzati in cibo thai e inglese, sono eccellenti. Gigi fa il bis con il pad thai, oggi di pollo e verdure, mentre io ricado su riso e verdure saltate, un classico intramontabile. Prendiamo anche degli involtini primavera con salsa di miele e peperoncino da condividere. Nemmeno le briciole restano. Domani ci aspetta una tappa lunga: un'ora e mezzo di traghetto e 113km da pedalare. Si torna sulla terraferma, per gli ultimi tre giorni nella terra del sorriso. Ah! Nota a margine: ho trovato il coraggio, sullo scorcio della permanenza in Thailandia, di assaggiare il durian. A dispetto dell'odore prepotente e poco invitante, il sapore non è particolarmente forte, e nemmeno disprezzabile. L'ho trovato poco saporito rispetto a tanta altra frutta zuccherina che si trova qui. I prezzi alti per gli standard, quindi, proprio non li capisco. Sarà la legge della domanda e dell'offerta.





9/8
Samui-DonSak (in traghetto)-Nakhon Si Thammara (in bici)
114km

Ieri è successo quel che non doveva succedere: nonostante i litri di crema solare 50+, ripassati più volte, mi sono ustionata schiena e spalle. Ieri sera e stanotte DOLORE. Forse un po' di febbre, di sicuro mi son svegliata spesso per la sensazione di bruciore da graticola infera. Poi quanto ha piovuto. Gigi pure è stato destato dal suo sonno profondissimo dal rumore del vento e della pioggia. Una cosa spaventosa. Ho temuto che il maltempo potesse far saltare le corse dei traghetti, ma erano le 4 di notte. Noi salpiamo alle 9, c'è ampio margine.


Il trillo della sveglia ci fa scattare in piedi. Quando ci sono appuntamenti con mezzi che non aspettano, è sempre così. Ci alziamo alle 7.20, alle 7.40 siamo in strada, alle 7.55 al molo. L'aria, le strade, gli alberi sono fradici della recente pioggia, e nel mare metallico si specchia un sorriso di arcobaleno. E' il saluto di Samui, che ci regala un ultimo lampo di meraviglia. Ciao, isola. Non ti dimenticheremo. Sei il luogo più "da cartolina" che io abbia mai visto, ma senza la patina lucida. Non per come ti abbiamo vissuta noi. Ciao, Samui. E' stato davvero un piacere.


Da qui le cose si fanno concitate. Andiamo all'imbarco, dove la nave delle 8 sta partendo e si stanno mettendo in coda i passeggeri di quella delle 8.30. Magari ci fanno salire su questa, anche se ho acquistato il biglietto per le 9. E infatti sì. Ma bisogna pagare il supplemento per le bici, che si acquista negli uffici centrali, al porto, a un kilometro da qui. Sono le 8.05, posso farcela se non c'è coda. Lascio Gigi in coda al pontile, tra harleysti coreani tamarrissimi, e corro a fare i biglietti. Poi mi precipito di nuovo all'imbarco, e scopro che Gigi non si è nemmeno accorto che sono andata via e ritornata. Mi cerca con lo sguardo, mi trova, è felice. Gli spiego quante vite ho già vissuto in questo quarto d'ora, e lui ringrazia, dicendo che proprio non ha notato che non ero più lì. O gli vuoi bene, o lo butti in mare. 




Viene quindi il momento di salire sul traghetto. Lasciamo passare i motociclisti, poi ci imbarchiamo noi, prima di auto e camion. Sistemiamo bene le bici con cunei e corde, in modo che non cadano su altri veicoli (che poi apriti cielo con le assicurazioni) e non finiscano negli abissi del Golfo del Siam. Quindi saliamo sul secondo ponte, dove scopriamo che oltre ai servizi minimi (bagno, poltrone, tavoli, prese elettriche) ci sono anche un bar e un minimarket fornitissimo. Lo speravo: non abbiamo fatto colazione, e questo è il momento perfetto, visto che abbiamo un'ora e mezza di traversata da ingannare. 

Dopo un caffè e un altro, un pastel de nata e un biscotto, ci mettiamo comodi a goderci il panorama, tutto isolotti e profili di alture aguzze e coperte di foresta, sempre più vicini. L'approdo di Donsak, fuori dalla città di Surat Thani, è sempre più vicino. Il movimento leggero delle onde mi ha messo sonno, e la dose di adrenalina della giornata è già stata spesa per la corsa ai biglietti. La voglia di pedalare è poca, il sonno tanto, ma ci siamo, è ora di scendere.










Pronti, via! Avvio la registrazione di Komoot, imposto la traccia, e siamo in sella. Sulla terraferma ci accolgono innumeri statue e foto dei famosi delfini albini, rosa come la Pink Panther, che vivono nelle acque di questa zona, soprattutto ad Ao Khanom. Qui, in una zona incontaminata ancora sconosciuta al turismo di massa, ci sono bellezze naturali di tutto rispetto, tra cui cascate, grotte e, appunto i delfini rosini, che si possono vedere anche ad occhio nudo dalla costa all'alba e al tramonto.


Per i primi 30km la strada, deserta, corre tra alture aguzze e verdissime, che si innalzano ripide accanto a noi. Non ci sono dislivelli particolari da affrontare, solo un impercettibile saliscendi. Qui comunque si trova la vetta più alta della Thailandia meridionale, il Khao Luang (1835m), immerso nella foresta dell'omonimo parco nazionale. Noi avanziamo svelti, sospinti da un vento piacevolmente a favore che ci accompagnerà per tutto il giorno. Purtroppo le mie ustioni e una nevralgia da aria condizionata del traghetto mi rendono lenta di testa, ma le gambe girano e si procede con il pilota automatico. La traccia è tutta dritta, sempre a sud, il mare a sinistra, il sole a destra finchè è mattina. Facile. Certo, fa un caldo da schiantare, da esplodere, come pesci abissosi portati in superficie. Ma siamo ai tropici, baby.








Al km 45 facciamo una prima sosta per bere qualcosa di fresco che abbassi un po' la temperatura, almeno percepita. I villaggi microscopici e isolati lasciano il posto a cittadine tranquille ma fornite di tutti i servizi urbani, di cui noi, ovviamente, approfittiamo.


Si riparte. La strada corre, sempre più larga e trafficata, allontanandosi dalla costa verso la pianura dell'entroterra. Arriviamo a lasciarci alle spalle quasi 80km, sospinti da Eolo, dal buon vento che per una volta ci aiuta. Quando le temperature del primo pomeriggio di fanno ingestibili, troviamo riparo presso una vivace stazione di servizio. Oltre ai soliti negozi e baracchini di street food, oltre al bagno e ai tavolini, c'è anche una "parrot farm", una sorta di enorme allevamento di pappagalli strilloni che svolazzano all'interno di gabbie gigantesche, grandi come un intero parco fitto di alberi. E poi le sculture. Oh, quante. Oh, quanto grandi. Oh, quanto discutibili. Noi ci fermiamo a lungo, e non ci facciamo mancare nulla: porcherie fresche e zuccherate da bere, anguria, alghe essiccate piccanti, gelato... Ci sentiamo vuoti, smagriti, prosciugati. Un po' lo siamo, ma ci ricarichiamo in fretta.









Ripartiamo solo quanto pare che si stia avvicinando il monsone, ma è tutta scena: i nuvoloni nerissimi, il muro di pioggia, i lampi e i tuoni corrono alle nostre spalle, mentre davanti a noi il cielo si vela appena, e poi nemmeno quello. Il sole, oggi, è feroce e impietoso, un occhio che non si chiude mai. Però l'aria è cambiata. E non parlo di meteo. Da qui in poi si vedono tanti templi buddhisti quante moschee. Alcune grandi e abbellite di opere d'arte, altre piccole e semplici, altre minuscole. Ma ce ne sono a decine. E molte donne portano il velo, mentre gli uomini il barracano e il berretto. E' incredibile pensare come la religione islamica sia giunta fino a qui, nel XV secolo, quando fu fondato il Sultanato di Malacca. Quella musulmana è la minoranza religiosa più numerosa in Thailandia, dove i più son buddhisti. Parliamo di 7.5 milioni di persone su 62.5 milioni di abitanti totali. Sono sunniti, e vivono per lo più qui, nel sud del paese. I più sono di origine malese, ma anche cinese e birmana, oltre ai thai. La tolleranza religiosa, pur non sempre pacifica, ha permesso a questa comunità di crescere, con le sue radici che affondano nella tradizione sufi. Purtroppo negli ultimi 20 anni nelle tre province più meridionali è esplosa una vera e propria guerra separatisti tra esercito, polizia e milizia contro malay musulmani, che, tra attentati e scontri a fuoco, ordigni nascosti e decapitazione, è già costata 6000 vittime. 






Oltre a questo sensibile cambiamento nel panorama sociale, religioso e architettonico, notiamo che tutta la regione di Nakhon Si Thammarat è un susseguirsi di aziende che producono mattoni e terracotta in modo tradizionale, ancora nelle palafitte grandi con i forni alimentati a legna, e si fa tutto manualmente, senza macchinari. L'odore di legna bruciata, il fumo e i prodotti finiti sono tutti sulla strada, e noi ci passiamo attraverso.










Un ponte sul fiume, con il suo porto e i suoi pescherecci dai colori accesi, segna l'ingresso in città, la nostra meta di oggi. Nakhon Si Thammarat, con i suoi 120.000 abitanti, ha una lunga e ricca storia, che approfondiamo domani, visitandola. Per ora basti sapere che la strada che collegava il porto occidentale di Trang a qui era una delle principali rotte commerciali che collegavano la Thailandia al resto del mondo, e la città ha mantenuto questo carattere cosmopolita che si intuisce nei templi di varie fedi, nei ristoranti di cucine diverse e nei reperti storici ora conservati nei musei locali.


Noi, per raggiungere il centralissimo Thai Hotel, lasciamo lo stradone e imbocchiamo quella che sembra una innocua parallela e invece è una strada di oltre 10km che attraversa una zona militare presidiata da check point con guardie armate in ingresso e in uscita. Ci lasciano passare. Per mezz'ora pedaliamo tra caserme, poligoni di tiro, scuole per ufficiali, parcheggi di mezzi blindati e campi di allenamento con percorsi a ostacoli. In giro non c'è nessuno, e su tutto regna un silenzio straniante.




Con questa scorciatoia ci troviamo in breve in centro, purtroppo proprio nell'orario di uscita delle scuole; c'è un casino devastante di motorini, pullman, auto e qualsiasi mezzo dotato di ruote e motore si possa immaginare.



Per fortuna siamo quasi a destinazione, ed il Thai Hotel, immenso, inatteso, ci si para davanti con la sua mole di 9 piani. Faccio check in per la mia stanzina pagata 8 euro e lasciamo le bici presso il parcheggio interno custodito che si articola su due piani. Mi accorgo che proprio questi due piani sono abbandonati e ospitano i resti inquietanti e polverosi di quello che probabilmente fu un centro commerciale, ora chiuso (ma accessibile sia con le scale, sia dal parcheggio, sia in ascensore. Il paradiso dell'urbex!). Questo luogo deve aver conosciuto tempi migliori. E' in centro, accanto alla stazione, ai siti di interesse e a ristoranti e negozi. Le camere sono ampie, ma un po' datate. E mancano dettagli come l'acqua calda o un'illuminazione decente nei corridoi. Ecco spiegato il prezzo ridicolo per una struttura che un tempo è stata di fascia alta. La vista dal nono piano, comunque, merita!





Dopo la doccia e un powernap di 10 minuti di orologio, andiamo a cena. Stasera Gigi non ha voglia del solito thai, che in effetti mangiamo da 40 giorni, e quindi ci buttiamo su un ristorante con cucina internazionale molto apprezzato dai locals, il Rock99. I prezzi sono stracciati. Con 10 euro ci caliamo: insalatona con pollo allo yoghurt e anacardi, con tanto di olio di oliva vero, aceto balsamico degno di tale nome e pane al sesamo (io), pasta al pesto e pollo grigliato con panone da imburrare (Gigi) e una teglia di spinaci annegati nel formaggio fuso e poi gratinato (da condividere), con due lattine di Coca e un'acqua. Tutto freschissimo, curatissimo (pensate che chiedono persino se Gigi preferisca spaghetti o penne) e buonissimo. E poi il pane-pane un po' mancava.



Spesina di frutta e dolce prenanna e torniamo in camera. Domani ci fermeremo in zona Pak Trae, da me rinominato Patatrak, sulla costa, a 100km da qui, a 100 da Hat Yai, l'ultima città thai in cui dormiremo prima di entrare in Malesia. Cominciamo a studiare i dettagli logistici, le formalità, dove si acquisti una sim prepagata... Insomma, ci siamo quasi. Il viaggio sta per farci fare un gran balzo in avanti! Dobbiamo cominciare a prendere commiato da questo paese incredibile che tanto ci ha regalato, in quasi un mese e mezzo di avventure a pedali. Dispiace, ma la curiosità da ulisside insonne che spinge a nuovi orizzonti è ancora più forte!

2 commenti:

  1. Dall' ultima foto si vede che Gigi è pronto a mangiarsi il mondo.

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  2. L'avete vista la volpe della Malesia? E' quella che si fotografa allo specchio,guardate che strisce.

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