giovedì 27 luglio 2017

Ventisettesima e ventottesima tappa. Omsk, la fortezza sul nulla, Dostoevskij e le deportazioni in Siberia

Ma Omsk


quanto


sa


essere


bella?


Tanto, tanto davvero.
Nonostante la sua cupa storia impregnata di dolore, che il cielo tumefatto e livido spesso richiama. Forse anche le lacrime e il sangue hanno vita ciclica come l'acqua, e cadono a terra poi salgono al cielo e ripiovono sull'umanità che brulica sul mondo. Forse, forse tutto va al nulla e del dolore non resta alcuna traccia, per vasto e inconsolabil che sia stato. Non lo sapremo mai, per fortuna.
Dunque, andiamo con ordine, visto che qui della volpe da due giorni si son perse le tracce.

Ad Omsk sono arrivata ieri, dopo una lunga e massacrante tappa in lotta impari contro un vento asciutto e teso, ovviamente diretto dalla parte esattamente opposta rispetto a me. Chissà che fretta aveva di andare a Occidente, in Europa, mannaggia a lui. I quasi 140km di tappa si sono perciò protratti lungo ore lunghissime e lente, lente come ero frenata da Eolo, lente come la fatica che si trascina grano a grano nell'arco del sole. Ed è un rosario.





Per altro il paesaggio è stato piuttosto monotono, oggi, forse perchè la luce filtrava a stento dal velo di nuvole, forse perchè faceva caldo in sella e la vista era appannata, o più probabilmente perchè ero troppo concentrata nell'impilare kilometri a decine (letteralmente, a dieci e dieci) dietro alle spalle, e non potevo distrarmi ad osservare la natura ma dovevo fissare nella mente pensieri capaci di non farmi impazzire. Perchè la piana infinita e smisurata, grigia e battuta dal vento, sì, può far impazzire. Non per la fatica. Per l'idea di mancanza di limite. E' come se la coscienza di espandesse gonfiata ad elio e leggera, sempre più leggera, inconsistente ormai, smagliata, svaporata nel chiarore lattiginoso del cielo. Puf. E uno diventa matto. E' un attimo. Si vede l'eterno ritorno di Nietzsche, si sente la voce di Saffo cantare nell'erba e le radici si capovoglono ai rami, ci sono pozzanghere nelle vene e tutto si attorciglia in se stesso e stira e deforma e la strada ti inghiotte, nello sgocciolare in aritmia dei minuti. Puf. E' un attimo.





Per fortuna sono riuscita a tenermi la mente salda al suo posto, che non è proprio quello normale ma forse proprio per questo resiste un po' a tutto, anche al vento e alla Siberia senza confini.
Ho incontrato soltanto due paesini, per altro non visibili dalla strada, qualche auto e poco altro; a farmi compagnia sono stati gli abitanti dei cieli, e non intendo con ciò riferirmi ai santi che ho tirati giù dalle loro sedi d'azzurro, ma gli uccelli. Un trattore arava e guardate che stormi. Non sono corvi nè piccioni. Sono rapaci, aquile.


Poi, sotto alla fermata del bus dove ho fatto una sosta, ho incontrato questi amorini qui, ciccionissimi e tutti spaventati dalla mia presenza


La loro mamma rondine ha tenuto d'occhio la situazione per tutto il tempo. Non sa che sono una volpe diversa, non caccio e non mangio pulcini. Lei era lì a controllare, si sa mai.





Un modo per affrontare questi spazi infiniti controvento è anche mangiare abbastanza per non restare mai senza energie. Anche in questo caso, mi accorgo dell'imminente calo di zuccheri quando mentalmente faccio fatica a mantenere la concentrazione e mi si offuscano le idee come appena svegli. Prima ancora di sentire le gambe molli e la debolezza fisica, avverto la mancanza di vigore nel pensiero. E tutto sembra assurdo, impossibile, inaffrontabile. Le difficoltà si gonfiano e si allungano come ombre al crepuscolo, gigantesche, spaventose. Bastano due barrette e passa la paura, i problemi tornano piccini come sono in relatà e si può proseguire. Tra l'altro sto provando un po' di barrette russki. La prima è una sorta di croccante di miele e semini troppo buono, vi giuro, nemmeno l'eroina dà delle botte di endorfine così forti. La seconda è una barretta di frutta morbidona, pare quasi un torrone. Promosse entrambe a pieni voti.



Nonostante tutte queste manate di zuccheri, gli ultimi kilometri sono stati comunque pesantissimi. Tra l'altro sono incappata nei classici lavori in corso alla russa, con cantieri lunghi da qui al per sempre (l'ultimo si srotolava per 27km!) con tanto di catrame fresco e appiccicoso, camionisti irritati e senso unico alternato.


Poi, finalmente, benedetto, atteso, invocato,
il segno della meta



Nell'ultimo tratto ho incrociato alcuni ciclisti, i primi che vedo da Mosca, con bici decenti, abbigliamento adatto, casco e tutto in ordine. Un gruppo, che usciva dalla città, mi ha salutata sbracciandosi e facendo casino; poi mi si è affiancato un ciclista abbastanza anziano che mi ha chiesto: "Dove vai? Rispondo: in Mongolia! E lui: "No dico adesso". Ma che domanda è. Sono le 7 di sera. Siamo in periferia di Omsk. Stiamo andando in direzione del centro. Secondo te dove vado? Ribadisco: "Ah, ad Omsk". "Mh" fa lui quasi deluso e, udite udite, mi si mette a ruota. Giuro. Io stavo tirando, per non sfigurare troppo, dei poderosi 23km/h. Lui, con la bici da strada, fresco e lesto e consapevole della strada da fare (a differenza mia), mi si è messo a ruota. Ma dai. A una certa ho accostato per levarmelo di torno. Mi metteva troppa ansia.
Dopo il monumento dedicato al disastro ferroviario di Chelyabinsk (quello del gas) e qualche banchetto di poponaglia così a buffo sull'autostrada,



finalmete sono arrivata a destinazione.
La tana prescelta era il prestigioso Hotel Noy, accanto all'aeroporto di Omsk, vicino all'autostrada e dotato di ristorante. Insomma, il paradiso. E che giardino romantico.



Dopo essermi intesa a gesti e disegnini (giuro) con l'anziana receptionist, che non capiva un cazzo fritto e per di più era sorda come una campana, sono riuscita a prender possesso della stanza di lusso




e poi a procacciarmi la cena. Il "kafè" si dava arie da ristorante stellato. Il menù era scritto ahimè in un font simil corsivo antico che non mi ha permesso di capire nulla. Sicchè sono andata liscia su due insalate (Cesar e sovietGreca) e poi mi son fidata della cameriera-cuoca. Quando mi ha vista in difficoltà mi ha detto, indicando una cosa sul menu: "Cotoleta, cotoleta" con il piurè di kartoshke. E pane ne vuoi? Ma sì un pochino, fai per una persona. Cosa vi immaginate voi?


le insalate, e fino a qui tutto bene


il pane, una ruota da autorticolato. Ma va bene, ho pedalato parecchio


e la cotoletta.


che è invero una polpetta. Grossa come un grosso tacchino, con il peso specifico del cemento. Secondo me ci caricavano le katyushe. Però era buona, dai, e ha sortito un immediato effetto soporifero: tutte le mie residue energie sono state impegnate nella digestione.



Questa mattina mi sono alzata di buon'ora con l'idea di partire presto, arrivare presto (avevo solo 11km, per arrivare in centro città) e godermi una giornata da turista in quel di Omsk.
Purtroppo i violenti temporali in corso mi hanno costretta ad attendere che spiovesse un minimo.
Colazione schizofrenica con gli amabili resti del bar dell'autolavaggio, chè il kafè stellato mi apriva alle 10


e rinforzino per ingannar l'attesa (sono le caramelle del futuro. Tipo Sneakers ma mignon. Cioccolato, arachidi e caramello. Il futuro)


Poi via, approfittando di un armistizio tra nuvole, l'unica ora in tutta la giornata in cui non abbia piovuto (che chiulo).
La periferia di questa città mostra fin da subito una sorta di contraddizione, di errore logico e formale, che colpisce. Nella stessa strada da un lato ci sono i centri commerciali e i palazzoni formicaio, con le strade-fiume e persino i marciapiedi




dall'altro il nulla, l'aperta campagna, la steppa incolta


Di qui la città nuova con i grattacieli e le infrastrutture


di là le casine di legno e le strade non asfaltate, il fango, i camini di latta che sbuffano vapor di legna.


E' come se, a separare una metà della strada dall'altra, ci siano 10 metri lineari e 100 anni di differenza. Altro che il confine impercettibile con il Kazakistan, altro che la linea invisibile che dovrebbe chirurgicamente dividere Europa e Asia lungo gli Urali. Questo sì che è un confine. Di qui i ricchi, che hanno i soldi e vivono tumulati tra cemento e asfalto. Di là i poveri, probabilmente anziani, che non hanno l'acqua in casa ma l'orto e le galline possono ben tenerli.
In questa scissione, che ho ritrovato anche poi in centro, ho pedalato fino al fiume Irtysh. E' un fiume di pianura, che scivola quasi immobile nella steppa, come un immenso serpente pigro. La sua corrnte è così debole da permettere che si creino isolotti  e piccole oasi di verde nel suo letto grigio.


Ancora qualche colpo di pedale e sono giunta all'ostello Millennium in the center, dove dormo stanotte al cifrone di euri 7. Credevo di esser da sola nella camerata da 4, invece, intorno alle nove di sera, è sopraggiunta Natalya. Speriamo non russi, la russa.
,




Dopo la doccia volevo subito uscire a visitare la città, ma di nuovo il tempo orribile mi ha fatta attendere. Per circa due ore ha piovuto con rabbia e ostinazione, tanto che ai tg han parlato di nubifragio. Strade allagate, auto impantanate... Insomma, che culo non aver tappa da pedalare oggi! Che bello vederla oltre il vetro appannato, al caldo e all'asciutto, questa pioggia siberiana. Così è anche poetica. Non cattiva, solo violenta.
Stava ancora piovendo quando ho deciso di infilarmi il k-way e uscire ugualmente. Questa la condizione delle strade





Veramente. Che culo non essere in bici oggi. Lì dentro nella fanghiglia tiepida si affonda e serve il periscopio.

Come prima cosa, nel fare la turista, ho sbagliato strada. Colpa dell'app di Tripadvisor e della sua mappa con le "attrazioni". E' tutta sbagliata, ma chi l'ha accrocchiata? Un alconauta?
Questo errare, tuttavia, mi ha permesso di inoltrarmi in un quartierino residenziale di izbe; sono case che risalgono ancora all'Ottocento, al periodo di massima fioritura della città. Anche qui il tempo è rimasto sospeso, la tirannia delle lancette in corsa ha perso il suo potere e il volto della città si è cristallizzato, immune al fieri, capace di sottrarsi al divenire. Le case stanno vigili con i loro occhi-finestra ben aperti sul fluire delle vite in transito, sulle strade e le voci che passanno e vanno. Loro restano, animali acquattati che non attendono nulla.




 (in lontananza i palazzoni, girano i fogli impazziti sul calendario, corrono le lancette senza freno e siamo di nuovo all'oggi)



 (questo con i copertoni è un tombino. Credevo, all'inizio, bruciasse qualcosa... Invece da qui esce del vapore bianco e denso, come di carbonella)





Ma la città non è tutta così, anzi, questo è solo uno dei molti quartieri.
Per capire la forma che Omsk ha assunto nei brevi secoli dalla sua nascita, bisgona ripercorrerne la storia.
Tutto inizia nel 1716.
Un'unità di cosacchi guidati da Ivan Buchholz rientrava da una fallimentare spedizione in cerca di oro nelle terre di Siberia, all'epoca ancora inesplorate e avvolte dal mistero. Alla confluenza dei fiumi Om e Irtysh il drappello è costretto a fermarsi e a costruire, dal nulla e nel nulla, una roccaforte per difendere i territori russi in espansione dagli attacchi dei kirgizi e di altri nomadi feroci delle steppe. Restano le porte di quella che, per quasi un secolo, rimase un'enorme fortezza in legno, con pali di betulla e pino. Mi viene in mente la Fortezza Bastiani, affacciata sul vuoto immobile del deserto dei Tartari. Forse Buzzati pensava anche a questi luoghi, scrivendo.



 
Qui si stava in attesa di attacchi di popolazioni nomadi ormai sempre più deboli e costrette al margine del continente. Qui, nel fango e nella polvere, transitavano mercanti di pellicce con le carcasse delle bestie sui carri, passavano cercatori d'oro malati dell'antica febbre e genti diverse venute dall'est. Il sole sorgeva e calava uguale sui tronchi della palizzata. La neve scendeva e poi spariva, il fango mangiava tutto e poi si seccava in terra rossa. Si aspettavano i barbari, dalle montagne, dai deserti e dall'acqua.







Ma i barbari non arrivavano mai.

"Che aspettiamo, raccolti nella piazza?
Oggi arrivano i barbari.
Perché mai tanta inerzia nel Senato?
E perché i senatori siedono e non fan leggi?
Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori?
Quando verranno le faranno i barbari.
Perché l’imperatore s’è levato
così per tempo e sta, solenne, in trono,
alla porta maggiore, incoronato?
Oggi arrivano i barbari.
L’imperatore aspetta di ricevere
il loro capo. E anzi ha già disposto
l’offerta d’una pergamena. E là
gli ha scritto molti titoli ed epiteti.
Perché i nostri due consoli e i pretori
sono usciti stamani in toga rossa?
Perché i bracciali con tante ametiste,
gli anelli con gli splendidi smeraldi luccicanti?
Perché brandire le preziose mazze
coi bei caselli tutti d’oro e argento?
Oggi arrivano i barbari,
e questa roba fa impressione ai barbari.
Perché i valenti oratori non vengono
a snocciolare i loro discorsi, come sempre?
Oggi arrivano i barbari:
sdegnano la retorica e le arringhe.
Perché d’un tratto questo smarrimento
ansioso? (I volti come si son fatti serii)
Perché rapidamente le strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?
S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente."
(Kavafis)



Nel 1782 Omsk da fortezza divenne città vera e propria. La crescita fu vertiginosa: nel 1822 capitale della Siberia occidentale, nel 1882 centro amministrativo della gigantesca regione delle steppe, che comprendeva buona parte dell'odierno Kazakistan. Si costruirono chiese, cattedrali, moschee, sinagoghe. Ancora oggi qui hanno sede il vescovo della regione e l'imam di Siberia.























Poi vennero anche i teatri, le accademie militari, le scuole di specializzazione tecnica e gli edifici del governatore e dei nuovi ricchi imprenditori che sventravano il cuor della terra estraendo minerali e metalli.

Tuttavia, quando il potere degli zar si estese ben oltre gli antichi confini, Omsk perse la sua importanza, che da sempre era stata principalmente militare, e la città cadde rapidamente in declino.
Divenne centro, questo sì, delle tanto note deportazioni in Siberia. Non già quelle dei bolscevichi, ma ancora quelle perpretrate dagli zar. Qui i ribelli, coloro che si opponevano al potere assoluto e di stampo ancora medievale con cui era governata la Russia, venivano mandati in esilio, costretti ai lavori forzati, sottoposti alla natura inclemente dei luoghi e dei soldati di guardia.
Tanti decabristi vennero spediti a Omsk e riuscirono però a portare in queste regioni ancora selvagge e deserte d'umanità l'educazione e la cultura della Russia europea; divennero anche rispettati punti di riferimento per la popolazione, in barba alla censura e alla repressione di Nicola I che li voleva mettere a tacere.
Tra i molti finì qui anche Dostoyevsky, dal 1850 al 1854; accusato di far parte di società segrete che si opponevano al governo zarista, soprattutto tramite la diffusione di opere letterarie proibite, era stato condannato a morte e graziato (già sul patibolo). Così descrive Omsk in una lettera del '54 al fratello: "Omsk è un odioso buco. A malapena c'è un albero, qui. In estate - caldo e venti che portano tempeste di sabbia; in inverno - bufere di neve. Ho a malapena visto qualcosa della campagna circostante. La città è sporca, quasi esclusivamente abitata da militari, e dissoluta all'ultimo stadio. Intendo la gente comune. Se non avessi incontrato alcuni esseri umani qui, mi sarei rivolto esclusivamente ai cani".
Anche le descrizioni delle baracche in cui i prigionieri sono costretti a vivere ammassati sono forti e terribili: pulci, scarafaggi, topi, una spanna di liquami e sterco e piscio sui pavimenti marci. Afa d'estate, gelo d'inverno.







Negli ultimi anni del XIX secolo giunse anche qui il sogno folle di legno e ferro della Transiberiana. Arrivarono altre risorse, altre opportunità.




























Omsk, ai primi del Novecento, si era persino guadagnata il nome di "Chicago della Siberia" per i suoi traffici, le sue industrie, le compagnie di trasporti tra un continente e l'altro. Nel 1910 fu persino organizzata qui l'esposizione siberiana dell'agricoltura e dell'industria.
Ma venne la Rivoluzione e, se non tutto, portò via molto.
Nel 1918 Omsk divenne sede del brevissimo governo provvisorio di tutte le Russie; si concentrarono qui i Bianchi e tutte le forze anti-bolsceviche, comandate dall'eroe di guerra ed esploratore artico Kolchak. Furono trasferiti qui molti tesori e si acquartierarono anche truppe cecoslovacche di prigionieri della Prima guerra rimaste intrappolate in Siberia.



Non senza sangue, l'Armata rossa entrò in Omsk nel '19 e costrinse Klochak a ritirarsi ad est vesto Irkutsk.
Forse anche per questa "partenza con il piede sbagliato", il governo sovietico lasciò cadere la città nell'ombra trasferendo le sedi amministrative della Siberia, le scuole, le fabbriche e i teatri a Novosibirsk, la nuova (e tuttora prima per dimensioni) capitale della regione siberiana.
La fortuna tornò in città con la tragedia della Seconda guerra mondiale. E' sempre così. Il sangue irriga e fa fertili i portafogli dei pochi, poco importa a quanti ciò costi la vita. Omsk aveva molte infrastrutture ed era sufficientemente lontana dal fronte da convincere Stalin a portare qui tante industrie, lavoratori e capitali. In cambio la città pagò in anime. E non sapete quante ce ne vogliono pe fare un kilo di piombo.







 (la statua risale a quegli anni)









La guerrà finì, finirono anche i lamenti delle madri e finirono le lacrime dei vivi che avevano perso un figlio o un padre. Le industrie, la produzione e il capitale rimasero e misero radici.
Se quelle belliche e di armi sono mano a mano fallite (e meno male), si sono sviluppate, dagli anni '50, quelle di estrazione e raffinazione del petrolio e del gas. Oggi si trova qui l'unica fabbrica di tutta la Russia che produce biogas dagli scarti dei cereali.
Omsk, dopo il crollo dell'Urss, è stata nell'occhio del ciclone per una serie di scandali per corruzione e gestione mafiosa sia delle aziende sia della cosa pubblica. Ora pare che tutto sia ritornato più o meno in equilibrio. Se escludiamo le linee che sezionano le città e la fanno rimanere in sospeso tra due mondi e tra due ere, sì, pare proprio che tutto abbia ripreso a correre dritto come i treni che fischiano qui nella notte e vanno lontano.

Vi lascio con alcune immagini extra per respirare un po' di aria siberiana di città: la biblioteca Pushkin


una cosa dolce e verde che rischia di strozzarti perchè contiene cannuccia e non lo sai


il fratello colorato, gommoso e innocuo del perniciosissimo serpente nero


edifici sovietici e post



quando si dice che la rivoluzione deve essere come il pane...


il cineteatro Majakovsky


la statua a ciò che c'era e ora non più, non qui


il realismo socialista grigio e peso come deve essere, perchè non c'è nulla da ridere in questo mondo di sfruttamento e prevaricazioni


animali protagonisti delle fiabe


tra cui una volpe


uno dei molti centri sportivi ipertecnologici


e l'ex campione sovietico di salto della cortina di ferro; ci saranno stati 12 gradi ma lui è cresciuto a pane e dittatura del proletariato e va, va a torso nuda e ringraziamo che almeno le braghe le abbia


Soviet cineteatro rimodernato. All'interno (visitato per far pipì, mica per altro) è come il multisala di Cerro Maggiore. Ma più grande e più russo.


Rasputin che vi guarda male e vi giudica peggio


l'enorme sala da concerti


una multisala giochi che pare la sede degli interrogatori del Kgb


una panchina per piccioni e piccioncini



la statua di due bimbi che nutrono dei pinguini. Ma perchè.

Ricca cena con peperonata, funghi, cetrioli, purè da trincea e gallette e pedalare, chè domani ci si addentra ulteriormente verso il cuore della Siberia!






2 commenti:

  1. Ma dove trovi le energie per tenere un diario?
    Continua così!

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  2. Tu racconti, descrivi, ornando ogni cosa con la luce dei tuoi begli occhi e con le "perle" di cui sei ricca nella mente e nel cuore. Io leggo, rileggo, mi stupisco... Sila

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