domenica 22 luglio 2018

25. QUCHAN. Il genio della teiera e la pioggia. Leggere Gaber e Kavafis a Teheran (non proprio, diciamo in Iran)



22/7/18



Ci sono giorni in cui fa male tutto. Fanno male le gambe e la schiena, il collo, il culo, la testa, i ricordi, i sogni, il cuore e la volontà. Quando la volontà, che è una forza potente, ma fragile, duole, allora sarà un giorno difficile. Lo so fin dal primo istante in cui apro gli occhi al mattino, alle 6. Con il sole che già conficca le sue unghie negli occhi e lame di luce tagliano la penombra della moschea.
Il corpo risente del vento di ieri e delle salite, del poco sonno e del cibo sbagliato. Le giunture, soprattutto spalle e gomiti, e tutte le viti e i cristi che ho inchiodati dentro, sono una corona di spine. Su cui mi sento seduta. La notte poi ha portato nostalgia di casa, di un volto, e il dubbio che questo mio andare non abbia senso, o, se ha senso, muove comunque nella direzione sbagliata. Khamenei, che dici tu?





Poi ci siamo alzati ed ho fatto il tè, come sempre, lentamente, perché il mio cervello è ormai fritto dal caldo e dalla stanchezza. La colazione un poco migliora le cose  ma mi ossessiona il pensiero della fatica di oggi, chè già si vedono i rami degli alberi piegati dal vento, e di domani, che sarà da gran premio della montagna, e della cronometro nei 5 giorni di Turkmenistan. Insomma, di molti giorni a venire. Poi penso a Gaber

“Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.
C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza.
C'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe”

e gran parte dei pensieri vola via come uno stormo di corvi. Penso invero anche a Itaca di Kavafis (posto sotto per chi non conosce questa poesia bellissima), ma io non torno ad una reggia o a un trono, tornerò a casa e alla mia vita. Sono proprio come Odisseo, ma non una nera nave mi porta, bensì una Signora a pedali, e non ci sono guerra e incendi alle mie spalle, ma sorrisi e occhi gentili.
Come quelli che vengono a salutarci prima che si riparta, dopo le solite foto. Ci osservano anche curiose tre donne, due galline che razzolano per la strada e un cane.


dispenser d'acqua fredda potabile sacrosanti che si trovano nelle moschee






Usciamo dal giardino della moschea e dal paesino, per tornare sulla strada lasciata ieri. Oggi dobbiamo raggiungere Quchan, che sui cartelli compare spesso come Goochan (e ogni volta ci si chiede se sia la stessa città o se stiamo accannando strada).






Il vento è già teso e contrario, ma meno di ieri sera. E la valle intorno si mostra dolce nella prima luce, tra campi e frutteti, chiusi intorno dall’abbraccio dei monti di pasta di mandorle. I contadini e i pastori sono già al lavoro. E’ tempo di tagliare l’erba, così rara e preziosa, e lasciare che il sole la trasformi in oro, come Mida. Il fieno è pronto, biondo e profumato.













Con qualche saliscendi giungiamo all’ultima scalata impegnativa, che ci riporta a 1800 metri. Incastrato tra un pendio e l’altro c’è il paese di Chekneh, dove tutto ancora tace perché alle 9 in Iran, se non si è in grandi città, le saracinesche sono ancora abbassate. A metà salita ci fermiamo a riposare. La mia schiena, lato destro, tra scapola e collo, urla e piange: questa è la conseguenza di avere i gomiti bionici. Sono storta, dentro e fuori, e dopo 2000km e passa inizio a risentirne.







Dopo datteri e banane si riparte, e la strada sale e sale. Finalmente vediamo spianare. Ci sono un cimitero, un negozietto e una pozza d’acqua con le papere dentro. Altra sosta, per comprar da bere e del pane fresco, e il negoziante baffuto ci prende in simpatia. Ci regala anche le pesche del suo orto, e ci lascia usare il bagno e fa prendere a Raymond l’acqua per rimepire la sua borsa. Invero gli apre il cancello della pozza delle papere e gli fa usare quella, invitandolo anche a lavarsi. I pennuti si avvicinano curiosi e suggerisco di acchiapparne uno e portarcelo via, come mascotte.








Da qui in poi è tutto più rapido. Si scende finalmente a precipizio nel nuovo vallone, e intorno son spighe e alberi. Davanti, azzurri monti per l’aria calda che tremola. Arriviamo in fretta alla strada bassa, che è grande e trafficata come non ne vedevamo da fuori Teheran. Ai lati ancora si vedono pastori e armenti, frutteti, fattorie e grandi aziende agricole. Ma la zona rurale e isolata è alle spalle, ormai.








Siccome il vento è teso e furibondo, nonostante manchino 15km a Quchan, ci fermiamo per pranzo all’ombra di alcuni mandorli. C’è pure un minuscolo rivo. Oltre a un quantitativo di mosche che neanche in tutta l’Africa, e a due ciclisti in tenuta specialized che si fermano a salutarci. Quello davanti è un uomo, persiano baffuto e ciccio. Quello dietro ha la voce da donna. Potrebbe essere un ragazzino in carne con il timbro femmineo, e infatti ha i capelli corti… Ma a me pare una ragazza. In divisa da bici. Corta tutta, pantaloni e maglietta. Senza velo. Ma allora son cogliona io, ve’? Che da un mese pedalo con dei vestiti a metà tra il rifugiato di guerra, il matrimonio romanì e il “uccidetemi ho troppo caldo, pietà”. Resto con il dubbio.






Poi il vento cambia e ne approfittiamo per farci spingere a tutta birra (analcolica) verso la città, dove abbiamo già idividuato un hotel che fa al caso nostro, Homa si chiama. Sta proprio affacciato all’auostrada, su una rotonda, ed è impossibile non vederlo. Intanto nuvoloni neri sulle montagne vicine minacciano pioggia. O ma che davero? Non è che domani...










Prendiamo possesso così dell’appartamento, che vien via a 5 euro a capoccia e include: teiera antica che non si apre, sigillata dai tempi dei Parti, che forse contiene genio della lampada ma forse solo malattie rare, come quelle che presero gli archeologi aprendo le tombe egizie. La maledizione della teiera persiana.
Incluse pure delle ciabatte antisismiche, per peso, altezza e consistenza, tutte da donna, anche per Raymond, che qui i terremoti sono frequenti e devastanti. Inclusa infine zozzura varia in giro e camera con vista sul rumore dell'highway.








Nei 5 euro non sono invece comprese: pulizia, lenzuola, salviette, carta igienica. Che il Puill va a chiedere e si vede recapitare un trono di plastica da posare sulla turca per trasformarla in wc. Eh vabe’.

Dopo la doccia e il momento bella lavanderina (col ca*zo che pago più una laundry in un hotel iraniano!) siamo andati a fare spese per i giorni prossimi. Così abbiamo visto un po’ il centro città, che è fornito di supermercati simili ai nostri, pressochè inesistenti in tutto il resto del paese, escluse le grandi grandi (grandi) città (che per altro di solito ne hanno uno e triste, con i bancali vuoti e impolverati). I commessi ci chiedono da dove veniamo e anche la gente ci ferma per strada per sapere, e nemmeno siamo in bici! Un cassiere, vista la spesa curiosa che facciamo, ci regala due barrette ci cioccolato, così, per simpatia o compassione.

Una piccola nota storica. Quchan, questa città di confine ma comoda perché sta giù dai maledetti monti dove dovremo arrampicarci domani, fa 100.000 abitanti. Sono per lo più Curdi persiani e turchi, cosa che spiega la cospicua presenza di parole, camionisti e baffi anatolici. Si producono granaglie varie e vino, anche se questa cosa l’ho letta ma non l’ho capita. Da esportare? Possibile? Mi par strano. Però se dio sta in alto Mammona sta ancora più su.
Un fatto storico importante avvenuto qua è l’assassinio di Nader Shah, nel 1747, trafitto dalla spada del capitano delle guardie e di altri congiurati. Prima di morire, il Napoleone di Persia o Secondo Alessandro magno, come era noto, riuscì ad uccidere due suoi assassini, dimostrando per l’ultima volta la sua abilità militare e la sua ferocia. Era riuscito a conquistare, durante il suo regno, quasi tutta l’Asia centrale, divenendo il sovrano più potente di questo lembo di mondo. Venerava Gengis Khan e Tamerlano, per il genio guerresco, per il potere infinito su cui non tramontava mai il sole e per la crudeltà (anche lui, come loro, prese il bell’uso di costruire piramidi con le teste dei nemici). Lasciò le casse dello stato svuotate (la guerra costa sempre cara) ed un regno che si sgretolò immediatamente dopo la sua morte.
Altra noticina storica: nel 1893 un terremoto devastante ha falciato oltre 10.000 anime e raso al suolo la città, poi ricostruita a qualche kilometro di distanza perché troppe erano le macerie da spostare. Onde le sciavatte antisismiche.

Ora ci attendono la cena, somwhere over the rainbow, e il riposo. Domani sarà una giornata in salita, per portarci al confine turkmeno. E sarà tempo di fare le prime somme e i primi bilanci di questa nazione che tanto ci ha regalato, in moneta di bellezza, fatica, stupore e umanità piccola o grande, dai leoni di Persepoli alla mano callosa del contadino che ci ha regalato un frutto. Un mese è passato, già, e siamo a circa metà del viaggio, ricchi dei colori delle vetrate delle mosche e delle albe nel deserto.

 Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta;
più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

4 commenti:

  1. certamente domani saranno più le discese delle salite e il vento stavolta vi spingerà. Buon viaggio 🤠

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  2. I volti sono impronte lasciate sull'anima. A volte si perdono dentro una nebbia confusa. Altre volte, ed è una benedizione, si trasformano in preghiere che acccarezzano le nostre fragilità. E' un mandala la vita, costruito a pezzi infinitesimali. L'ultimo pezzo però, anche se all'apparenza minuscolo, l'ultimo colore tracciato, saranno quelli che ci accompagneranno lungo il nostro sentiero. Buon viaggio a voi.

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  3. "Ognuno ha una favola dentro, che non riesce a leggere da solo. Ha bisogno di qualcuno che, con la meraviglia e l'incanto negli occhi, la legga e gliela racconti". (Pablo Neruda)

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  4. Siete i miei idoli, vi ammiro e anche invidio un po' :-) : non mollate!

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