la volpe -ormai fennec- è la seconda da sinistra! |
E’ giunto anche il momento di
lasciare Esfahan, nonostante la bellezza dei suoi monumenti e la gentilezza dei
suoi abitanti. Ultima colazione a casa dei nostri ospiti, ancora più ricca e
buona di ieri. Ultimi ringraziamenti e scambi di saluti, accompagnati dal dono
di frutta, pane, formaggio e acqua.
Una foto al giardino dove la Signora e la bici di Raymond hanno riposato per un giorno, moderno caravanserraglio.
Ultimo sguardo alla mappa e via. Di nuovo sulle strade d’Iran, a districarci nel groviglio di clacson e motorini, gas di scarico e pedoni. Uscire dalla città non è stato facilissimo: la via da seguire era sempre dritta, lanciata a sud come una freccia scoccata dall’arco dell’orizzonte alle nostre spalle. Peccato fossero più di 4km di salita ripida, da fare con il rampichino, in una strada delirante di traffico e incroci. Nonostante fosse ancora mattina, s’è sudata pure la cresima e un po’ di bestemmie son partite. Ma questo qui è un dio diverso, non capisce, parla un’altra lingua e non c’è gusto.
Una foto al giardino dove la Signora e la bici di Raymond hanno riposato per un giorno, moderno caravanserraglio.
Ultimo sguardo alla mappa e via. Di nuovo sulle strade d’Iran, a districarci nel groviglio di clacson e motorini, gas di scarico e pedoni. Uscire dalla città non è stato facilissimo: la via da seguire era sempre dritta, lanciata a sud come una freccia scoccata dall’arco dell’orizzonte alle nostre spalle. Peccato fossero più di 4km di salita ripida, da fare con il rampichino, in una strada delirante di traffico e incroci. Nonostante fosse ancora mattina, s’è sudata pure la cresima e un po’ di bestemmie son partite. Ma questo qui è un dio diverso, non capisce, parla un’altra lingua e non c’è gusto.
Al di là di questa salita e poche altre,
spesso sorvegliate da cartelloni e gigantografie di miliziani o martiri per la
fede e la patria (parole che grondano sangue, ovunque, sempre),
la strada è stata clemente, piana e ben asfaltata. Purtroppo per arrivare a Persepoli e Shiraz non c’è l’autostada, forse la stanno costruendo ora ampliando, con una terza corsia, la statale 65, quella che seguiremo noi. Il fondo è comunque ottimo, però è più stretta e gli strombazzamenti di clacson e bitonali di TUTTI i veicoli che Maometto ha messo su questa terra mi fanno venire un infarto ogni volta. Loro salutano e fanno ciao ciao con la manina; tu li senti arrivare alle spalle e ti immagini schiacciato sotto a tonnellate di lamiera in corsa.
la strada è stata clemente, piana e ben asfaltata. Purtroppo per arrivare a Persepoli e Shiraz non c’è l’autostada, forse la stanno costruendo ora ampliando, con una terza corsia, la statale 65, quella che seguiremo noi. Il fondo è comunque ottimo, però è più stretta e gli strombazzamenti di clacson e bitonali di TUTTI i veicoli che Maometto ha messo su questa terra mi fanno venire un infarto ogni volta. Loro salutano e fanno ciao ciao con la manina; tu li senti arrivare alle spalle e ti immagini schiacciato sotto a tonnellate di lamiera in corsa.
Abbiamo superato la periferia polverosa
ed una vasta area ad uso militare, con tanto di aeroporto e continuo
andirivieni di elicotteri, incastrata tra la sabbia e i monti e chiusa dal filo
spinato. Poi di nuovo terre aride e speroni di roccia affilati dal vento come
lame di coltello. A proposito di vento, oggi si è levato forte e rabbioso,
laterale, ed ho potuto fare esperienza di cosa significhi qui quando la sabbia
si solleva veramente. L’aria diventa come torbida e gialla e gli occhi e le
labbra vengono passati al filo di una carta vetrata invisibile.
I monti, ora invisibili ora
d’improvviso vicini e cupi, hanno la forma dei copricapi degli achemenidi o dei
turbanti dei sultani, e paiono enormi cappelli di teste sepolte dal tempo.
Una cosa oggi mi ha colpita:
questi omini che a bordo strada sventolano cartelli e fette d’anguria, meloni
gialli o bastoni su cui sono infilzate cipolle. A volte in mezzo al nulla,
protetti solo dalla tesa dei loro cappelli spantegati. I primi che abbiamo
incrociato si buttavano proprio in mezzo alla strada ed erano armati solo di
cartelli e non di merce: non mi era chiaro dunque se fossero come dei
sandwich-men o folli di dio che predicavano la vicina fine del mondo. Poi
invece ne sono comparsi altri con frutta e roba varia e ho compreso finalmente
che stavano diffondendo il verbo dell’angurianesimo e del cipollismo. Ballando
a volte, ispirati dal divino frutto e dai colpi di calore che avran loro già
bruciato il più dei neuroni. Comunque, per chi si lamenta del proprio impiego,
pensi che costoro stanno per ore in piedi sotto a questo sole che ti apre il
cranio come un mazzuolo, a respirare smog e sabbia, con un melone in mano che
dopo dieci minuti è già marcio.
Anguriani a parte, abbiamo
imboccato una valle che, su una metà, è parco naturale montano, sull’altra un
formicaio di cave di pietra, come quelle leggendarie delle punizioni divine, o
quelle ben meno favolistiche della damnatio ad metalla.
Si susseguono paesini piccoli ma
ben vivaci, con qualche negozietto e i minareti che si confondono con le
ciminiere. E’ anche zona di grandi impianti industriali (siderurgico, chimico),
raffinerie e alimentari. Tutto insieme. Così da produrre il gelato gusto
catrame e benzina che quando brucia sa di polo, il riso cucinato con carne e
verdure.
Due chicche per chi non è stato
mai in un paese a maggioranza islamica: non c’è la croce rossa, ma la mezzaluna
rossa; e lo skyline sui cartelli che indicano l’inizio di un centro abitato
sono così, con la moschea.
Abbiamo fatto soltanto due soste
negli 80km di oggi. La prima in un baracchino che vendeva bibite fresche, dove,
come al solito, abbiamo attirato l’attenzione dei presenti che si sono riuniti
per chiedere, valutare e discutere di quanto potessero pesare le nostre bici.
Io per altro ho bevuto questo succo di frutta buffo, che sembra velenoso
mortifero, ma è buonissimo e croccante di semi di basilico.
Per altro mi hanno dato, come
costume qui, il resto piccolo in wafer; 3000 Ryal, 3 biscottini (80.000 Ryal
sono un euro). Quindi i wafer costano poco, ma sono una valuta comunque più
forte e usata di quella corrente iraniana.
L’altra sosta s’è fatta all’ombra
di alcuni piccoli pini striminziti ma profumatissimi, la cui resina esalava un
aroma come da bracieri d’incenso. Qui abbiamo spazzolato il pane regalatoci al
mattino dalla nostra ospite e parte della frutta secca acquistata ieri al
bazaar dai venditori afghani.
Io ne ho anche approfittato per
iniziare a studiare un po’ di zoroastrismo. E’ una religione che mi affascina.
In più sotto a questo cielo d’azzurro spalancato è più facile comprendere
l’Avesta. Tra me e me pensavo oggi che il giudizio universale che verrà alla
fine dei tempi, in cui anche gli zoroastriani credono, non verrà annunciato da
nuvoloni neri o tempeste di fulmini e turbini. Sarà un cielo steso come quello
della Persia, aperto sul mondo come un occhio che non riposa mai e vede tutto,
nella luce che non concede riparo ed annulla ogni ombra.
Mentre pensavo al giudizio delle
anime secondo Zaratustra, le cui azioni vengono pesate da Mitra e dagli altri
due giudici divini e devono poi attraversare un ponte, che li porta alla luce d
Aura Mazhda se prevalgono quelle buone, o si assottiglia come un capello e li
fa precipitare tra i dannati se sono di più quelle cattive, siamo giunti
finalmente alla meta di oggi, la cittadina di Shahreza, con molti monumenti al
melograno.
Probabilmente è una meta di
turismo interno perché, stando a Google, avrebbe dovuto avere due alberghi: uno
in centro, uno in periferia; abbiamo optato per quello centrale, salvo poi
scoprire che non solo non è un hotel, ma è un dormitorio per i miliziani della
polizia religiosa. Per fortuna i taxisti cui abbiamo chiesto indicazioni ci
hanno detto che l’altro albergo, quello che ci eravamo già lasciati alle
spalle, era davvero tale, aperto e funzionante. Dunque siamo tornati sui nostri
passi ed ora siamo qui, a dormire in un antico caravanserraglio ristrutturato.
D’altronde, sulla via della seta (e della sete), è giusto così. Se si vogliono
davvero calcare le orme di Marco Polo e degli antichi mercanti…
La cosa ancora più bella è la
piazza adiacente, abbracciata dai monti aguzzi e vicini e sovrastata da una
moschea finemente decorata; fuori, sulla terrazza che domina la città, ci sono,
non per forza in quest’ordine: un pirlino a rotelle in cui si noleggiano
chador; gente sdraiata su tappeti che mangia, ride, prega, vive; un lunapark;
molte fontane; un cimitero con i martiri delle guerre, in primis quella con
l’Iraq; altra gente che fa cose; un baracchino che vende oggetti sacri, corani
e magliette con su la faccia di Khomeini o quella del supreme leader, il grande
ayatollah Khamenei (che più lo guardi più sembra Babbo Natale). Dunque c’è chi
acquista la t-shirt con Che Guevara, chi con Putin e chi con l’imam. Giusto
così.
Mentre passeggiavamo per la piazza
in attesa dell’ora di cena, una ragazza, seduta sui tappeti nel parco con la
sua famiglia, ci ha avvicinati e ci ha offerto dei dolcetti buonissimi con
sesamo e marmellata di zafferano.
Poco dopo, siamo stati cooptati
da un gineceo di giovani e meno giovani sante donne che vivono sui tappeti
intorno alla moschea; alcune con figli, altre no. L’unico uomo giunto poi s’è
scoperto essere il fratello di una delle signore. Resta il fatto che, in un
misto farsi-inglese-gesti-sorrisi, ci hanno offerto: un piattone di zuppa di
legumi molto buona; frutta e cetrioli (qui considerati al pari di pesche,
prugne e albicocche); riso; tè con dolcetti provenienti dalla città santa di
Mashad; semini vari. Quando hanno saputo che ero un’insegnante, hanno tutte
voluto farsi una foto con me. Selfie e mica selfie. Perché vivono sui tappeti
nella piazza della moschea, ma hanno tutte lo smartphone, Instagram, Telegram e
Whatsapp (che qui non sono bloccati). Si rivolgevano soltanto a me (forse
perché per una donna non è cosa, da queste parti, parlare con un uomo
sconosciuto; o forse perché s’intendevano meglio) e Raymond è stato assai
escluso sia dalla conversazione sia dalle foto, anzi, è stato sfruttato da
tutte per farsi fotografare con me, caricato di telefoni e non considerato
minimamente (non hanno fatto nemmeno mezza foto con lui, solo un selfone di
gruppo fatto da un bimbo cicciuto, Mohamed).
Insomma, che dire? Pare che
questa leggendaria ospitalità persiana sia proprio autentica e concreta. Anche
chi ha poco, fa a metà. A ciò si aggiunge la curiosità di parlare con persone
che vengono dall’altro mondo, e la volontà di dimostrare a noi occidentali
quanto false siano le dicerie sulla gente del Medioriente. E parlo in generale
perché ben so, ahimè, che l’europeo medio a fatica distingue l’Iran dall’Iraq,
la cultura araba da quella persiana (qui invece gli arabi sono considerati
rozzi, bigotti, campagnoli arricchiti col petrolio, inferiori per cultura agli
iraniani che vantano una storia millenaria fatta d’arte e conquiste).
Dopo esserci congedati (e aver
fatto altre mille foto), la bretoniera ha voluto cenare di nuovo, in hotel.
Trota al sesamo e pollo in salsa di zafferano, pane al papavero e insalata. Si
è pappato quasi tutto lui perché io ero sazia nel corpo e nello spirito. Che
bello viaggiare così, e conoscere le persone (e che bello se domani non ho la
salmonella!).
Ci siamo dati, a questo punto, 3
giorni per raggiungere Persepoli. Domani tentiamo una tappona da 130km, per
giungere ad un’altra città piuttosto grande, Abadeh. Chissà di chi incroceremo
lo sguardo e la voce, domani, in queste terre così poco ospitali per il clima,
ma così accoglienti per la gentilezza di chi ci vive.
La storia e la geografia ci aiuti a conoscere, ma anche la sociologia e la politica, la tradizione e il costume di popoli antichi e nobilissimi. Meglio, molto meglio che attraverso noiosissimi testi scritti da paludati cattedratici. Soprattutto però è il cuore degli uomini e delle donne che incontri sulla tua strada a diventare davvero comprensibile in tutti i suoi meccanismi più sottili. Perchè, in fondo, è il saperci tutti ugualmente piccoli su questa Terra la conquista più grande. Grazie
RispondiEliminaConoscere e relazionarsi con gli altri: l'essenza del viaggiare
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